In cammino per le strade di Lodi
CASA CITTÀ E CITTADINI GIOVANI

In cammino per le strade di Lodi

ERMANNO MERLO

Conservo sempre nel cuore, come frammenti invisibili, come tracce di tempo perdute le parole di Sören Kierkegaard, filosofo dell’aut-aut come via di scambio filosofico possibile, ricerca prima, archè originario dell’essere. La compassione è la forma d’amore più vera, il modo più grande che abbiamo di stare vicino agli altri, di sentirci vivi nello spirito, di continuare a seguire le strade della mente. Non abbiamo altro modo, non ci sono possibilità alternative di svolta radicale. Pensare al prossimo, nell’amore, resta oggi l’unico legno di salvezza. 


Cammino per le strade di Lodi, in questo tempo senza valori, appeso tra la veglia e il sogno, sospeso nell’incertezza di un giorno di cui non abbiamo più consapevolezza materiale, che non sappiamo. La sera invernale accarezza i volti delle case, delle vie. La piazza accoglie gli ultimi uomini che si affrettano a tornare a casa, tra le luci dei lampioni che si gettano sui suoi angoli nell’abbraccio della nebbia.

Gli ultimi di Lodi, dei soli, di coloro che vivono all’addiaccio

È il tempo del non ricordo. Sono i giorni sottili, quelli che contiamo sulle dita delle mani, che facciamo scivolare nei rubinetti del buio, in attesa di qualcosa o di qualcuno che bussi alla porta del cuore. Sono i giorni fragili, fatti di vuoto, di pane spezzato, di parola autentica, vera e viva. Li vedo, me ne accorgo, anche senza farci caso degli ultimi di Lodi, dei soli, di coloro che vivono all’addiaccio, sotto un ponte, là dove le esistenze si consumano. Mi fermo a parlare, li ascolto, cerco di andare oltre la barriera della mente, del pensiero come ostacolo chiuso e insormontabile, a impedire il dialogo partecipato. Ogni notte quando la gente rincasa, e rimane il silenzio a fare da padrone, in piazza Broletto, sopra i gradini di pietra che portano al palazzo comunale, un uomo si infila nel suo sacco a pelo verde e cerca di dormire. Si chiude nei pensieri, si raccoglie nel vuoto delle assenze, in quell’essere senza scopo, nella vita che non c’è più. Poi quando il sole sorge, le porte della cattedrale si aprono e suonano le prime campane, piega il suo giaciglio, lo nasconde in un angolo della piazza, affinché nessuno lo veda e si mette in cammino per un altro giorno da vivere, nella difficoltà e nell’incertezza del possibile. L’unica cosa preziosa che ha, per difendersi dal freddo che entra nelle vene e si raccoglie nelle ossa, non lascia respiro. 

Una stretta di mano, un abbraccio, qualche parola

Sono tanti quelli di cui non ci accorgiamo, quelli che popolano le strade, che con le ferite della vita aperte, cercano ancora di andare avanti. Quelli che non sono dei semplici addobbi, dei soggetti da evitare con scrupolosa attenzione, ma che nascondono nella semplicità l’essenza più vera dell’esistere. Così come coloro che incontro nel mio servizio alla Mensa Caritas in via XX settembre. Arrivano per il pranzo e per la cena, puntuali, sempre alla stessa ora, con lo stomaco che chiede consolazione. Apro le porte di vetro che si gettano sulla via e li accolgo uno per uno, Jimmy, Omar, Mustafa, Amidou, Ahmed, Mamadou, Tsing e tanti altri, che sanno di avere un nome, che possono riconoscersi nel sorriso e nell’esigenza di andare oltre. Una stretta di mano, un abbraccio, qualche parola. Poi prendono il piatto e si siedono per consumare il pasto.

Storie che arrivano da questa parte del mare

Mi siedo con loro per ascoltarli, per condividere frammenti di un’esistenza ancora possibile, per cercare di capire come in un modo o nell’altro, tutte le storie ci appartengano, anche quelle lontane, che arrivano “Da questa parte del mare”. Mentre si spezza un po’ di pane raffermo o si versa l’acqua nei bicchieri dalle brocche di plastica dura, ormai opache, segnate dagli anni.


OGGI A TE, DOMANI ANCORA A TE E POI SEMPRE A TE 
MI DICE JIMMY OGNI VOLTA


Le rughe sul volto, sono i segni del tempo, i giorni passati a chiederci chi siamo e poi fuggiti nel nulla, le poesie che abbiamo dimenticato, le parole sprecate. Gli occhi sono profondi, neri ci si potrebbe cadere dentro, perdersi come si fa con il mare, grande all’orizzonte, senza fiato. I capelli grigi cadono sul volto e raccolgono il viso stanco in un sorriso che lascia voce a una bocca, ormai, con pochi denti. Jimmy dice: oggi a te e poi sempre a te. Non c’è scampo da questa vita, non possiamo fare finta di niente, voltarci dall’altra parte, sperare che le cose vadano meglio senza rimboccarci le maniche. Non possiamo fermarci davanti al bivio dell’esistenza senza scegliere come determinarci. Aut-aut così come avrebbe detto il filosofo di Copenaghen, o una cosa o l’altra. Ancora prima Pico della Mirandola, ne “L’orazione sulla dignità dell’uomo”. Siamo homo faber e possiamo scegliere di che cosa essere fatti, come raccontarci agli altri, da che parte stare. Questo vuol dire nel mondo di oggi essere partigiani, apprezzare quello che si è, condividere l’esigenza del non essere indifferenti. Ci sono prossimità sociali da seguire, ricordi che pulsano nel cuore, fragilità di cui non possiamo non essere portavoce. 

Essere un ponte e non un fine

Così come con Jimmy, che in poche frasi tra un boccone e l’altro, descrive l’ineluttabilità dell’esistenza. Mamadou, senegalese che mi racconta dei suoi ricordi di affetti lontani e di amori impossibili. Il luogo dell’incontro con l’altro, della cultura dell’attenzione alla fragilità, che diventano medium tramite, ponte verso l’altro. La grandezza dell’uomo come avrebbe scritto il filosofo Friedrich Nietzsche sta nell’essere un ponte e non un fine.
Questo è il nostro compito: essere ponte verso l’altro, continuare a pensare che per sviluppare il sentire abbiamo bisogno della poesia, come arte che insorge, delle parole, fragili frammenti dell’esistere. Così come Vasco Brondi, poeta sulla scia musicale degli ultimi, dei soli, come metafora dell’esistenza. 

Un giorno ci toccherà morire, ma tutti gli altri giorni no

Andiamo dove ci esplode il cuore, viandanti dell’esistenza, appesi con dolore tra il tempo e il ricordo, vicini, per necessità, fragili e insicuri. Con la stessa domanda e il sogno, chiave dell’esistenza, principio primo di consapevolezza umana, che ci fa sentire, nonostante tutto, vivi.