Reddito di cittadinanza, un passo indietro
MARCO LEONARDI
L’Italia era l’unico paese senza una misura universale contro la povertà fino al 2017, governo Gentiloni. Poi ne ha avuta una con molti difetti fino al 2023, ma dal 202
4in poi rischia di avere di nuovo poco o niente. Comunque la si pensi, un bel passo indietro sul terreno delle riforme.
Come è noto, dal 1 gennaio 2023, il nuovo governo ha diviso in due la platea delle famiglie beneficiarie del reddito di cittadinanza (Rdc). Quelle con minori anziani o disabili a carico sono definite “non occupabili” e sostanzialmente mantengono il sussidio di prima. Due sole sono le differenze. I controlli sui requisiti vengono fatti prima di pagare il beneficio e non dopo. La durata del beneficio non è più infinita ma dura 18+12 mesi.
Un milione di famiglie ha perso un sostegno
Questi due cambiamenti potrebbero pure andare bene, peccato però che si è andati molto oltre. Il problema vero riguarda i componenti dei nuclei familiari di età 18-59 che sono invece ritenuti automaticamente “occupabili”. Hanno ormai perso per legge il vecchio Rdc per (non) accedere alla nuova misura per le politiche attive e la formazione denominata SFL (supporto Formazione lavoro). Alla fine 1,5 milioni famiglie prendevano il Rdc nel 2022. Solo 480mila lo prendono nel 2024. È un milione in meno. Perché?
Cosa cambia per i “non occupabili”
Iniziamo con le famiglie di “non occupabili” con carichi di cura. Prima Inps verifica ISEE e altri requisiti poi manda la pratica ai comuni. Questi a loro volta decidono quali componenti della famiglia mandare ai centri dell’impiego. Il problema è che il governo ci teneva ad avere la “sua” misura diversa dal Rdc. Anche se sostanzialmente è uguale, questa si chiama assegno di inclusione). Quindi bisogna fare una nuova domanda. Il risultato è che solo 480.000 persone percepiscono l’assegno sui 740.000 previsti. A oggi i centri dell’impiego non hanno ancora preso in carico nessuno. Inoltre l’assegno di inclusione non è indicizzato all’inflazione quindi molti rimangono fuori perché superano i limiti di reddito.
Essere in età da lavoro, gli “occupabili”
Veniamo alle persone di età compresa tra 18 e 59 anni che sono definite automaticamente “occupabili”. È ovvio che per mille problemi personali non tutte le persone in età da lavoro sono “occupabili” tuttavia tutte hanno perso Rdc e dovrebbero far domanda per la nuova misura (supporto formazione lavoro) cui si ha accesso solo con un ISEE molto basso per avere 350 euro al mese con un limite massimo non rinnovabile di 12 mesi. Risultato: zero o quasi.
Non ci sono numeri ufficiali. In tutta la città metropolitana di Milano (circa 3 milioni di abitanti) solo 1600 persone ne hanno fatto domanda. Di queste solo 622 percepiscono il sussidio. Il sussidio mensile infatti è condizionato alla verifica di un corso di formazione. Ma la verifica mensile del percorso di formazione che sta seguendo la persona non avviene e quindi niente sussidio. Quando avviene la verifica spesso è il frutto automatico del percepimento di una misura regionale che non sempre corrisponde ad una formazione reale.
Del resto le agenzie private che forniscono la formazione non trovano sufficientemente redditizio il “business” della formazione permanente regionale sostenuta con i fondi di GOL (il programma PNRR per il lavoro) che quindi non vengono spesi.
Il disastro per gli “occupabili”
Alla fine, in ossequio al principio che gli “occupabili” vanno fatti lavorare, si è fatto solo un disastro. Primo, molte di queste persone non sono davvero occupabili. Secondo, anche quelli occupabili non richiedono la nuova misura e qui ci sarebbe da riflettere perché i disoccupati non fanno formazione (non ne conoscono i benefici, non conoscono la misura, 350euro per 12 mesi non sono abbastanza etc.). Terzo, anche quei pochi che richiedono la nuova misura SFL o non sono ammessi o comunque non fanno davvero formazione.
Allo stato o SFL lo cancelli oppure lo allarghi a tutti quelli che lavorano a basso/bassissimo reddito indipendentemente dalla formazione. Così faresti un vero passo avanti sul terreno delle riforme: lo trasformi in un’integrazione al reddito (come in tanti altri paesi), quello in cui ci sarebbe davvero bisogno soprattutto in mancanza di un salario minimo. Certo sarebbe costoso, ma potresti risparmiare sui centri dell’impiego che oggi invece tieni impiegati in un altro “capolavoro” ideologico.
Il paradosso delle finte offerte di lavoro
Il decreto flussi che fa entrare un certo numero di immigrati ogni anno è sottoposto a una condizione che ha del ridicolo. L’impresa che voglia assumere uno straniero deve prima mandare una richiesta al centro dell’impiego che deve verificare su tutta Italia che nessun iscritto ai centri dell’impiego sia disponibile. Il risultato è paradossale.
Prima i centri dell’impiego avevano poche migliaia di offerte di lavoro da parte delle imprese ma almeno erano offerte di lavoro vere. Adesso invece hanno decine di migliaia di offerte di lavoro che sono ovviamente finte perché il centro dell’impiego entro 15 giorni è tenuto ad aprire una ricerca di lavoro, mandare gli eventuali candidati all’azienda che ovviamente li rifiuta e poi può finalmente assumere lo straniero che voleva fin dall’inizio. Ma si può lavorare così?
Pubblicato su Il Foglio il 27.03.2024