Ancora una volta sul Salva Milano
MARIA CRISTINA TREU • GIÀ professore di urbanistica al politecnico di milano
Di fronte al Dl Salva Milano, si rimane senza parole ricordando quando il condono era sempre attaccato dalla sinistra e forse anche dal PD. Un tempo si diceva che il condono disincentivava i comportamenti responsabili e rispettosi delle norme vigenti e di interessi generali. Premiava i comportamenti illeciti e abusivi.
Se non è così perché si fa l’errore politico affidandosi a una intesa con la destra, che aveva proposto un DL Salva casa. Si è deciso di proporre un diverso disegno legge chiamato Salva Milano. Con una interpretazione autentica -retroattiva- altera l’assetto urbanistico del paese e delle città italiane, in attesa di una nuova legge urbanistica che avrebbe dovuto sostituire quella vecchia del ’42.
Era una legge eccezionale, firmata da Mussolini. Era stesa da quattro cittadini, tra cui Piccinato e Giovannoni, nel disinteresse totale della politica di allora. La sua applicazione fu subito rinviata e sostituita con il Decreto luogotenenziale del ’48 che premiava ogni ricostruzione degli stabili bombardati e/o adiacenti. È stata una prassi durata più di 20 anni (La casa di Ferracuti e Marcelloni, ed. 1982) perché sempre rinviata.
I difficili interventi legislativi degli ultimi decenni
Ricordo, a esperti e non esperti, giovani e vecchi, che non è stata una passeggiata ottenere la legge del 1967/ 765, detta legge Ponte e il DL n. 1444 del 1968 sull’obbligo di garantire un tot di mq di servizi per abitante insediato e da insediare. Sono due provvedimenti di primo livello che avrebbero dovuto anticipare la nuova legge urbanistica nazionale. Anche questa è stata sempre rinviata.
Nel frattempo, dal ’71 data delle istituzioni delle Regioni, ci fu l’impegno da parte di molte Regioni di dotarsi di una propria legge che aumentava il totale dei servizi per abitante. Tale obiettivo ha creato non poche difficoltà nel posizionare e nell’utilizzare tutte le aree vincolate a servizi. Ha portato a una sentenza del Corte Costituzionale. Ha penalizzato molti Comuni che hanno dovuto rimborsare i privati per le aree non utilizzate dopo un certo numero di anni.
Molto lungo fu anche l’iter di approvazione della legge 457 del 1978, Piano Decennale per la casa. Applicata d’intesa con le Regioni, la legge prevedeva ristrutturazioni anche nei centri storici. I suoi resti furono utilizzati in Lombardia anche nel 1989. È accaduto per due nuovi studentati universitari del Politecnico, uno in Lambrate e uno in Bovisa. Ma di una politica per la casa pubblica in affitto non si parla più da almeno 30 anni. Si parla di social housing, un modello di intervento con finalità che vede percentuali molto contenute di alloggi in affitto ERP. Oggi sono chiamati con l’acronimo SAP.
Milano e i cittadini short time
Allora i cortei avevano come parole d’ordine “edili senza lavoro, cittadini senza casa”. Oggi, è molto diverso. Le imprese edili sono ancora impegnate nei lavori del superbonus e nei cantieri delle SCIA, compresi quelli del silenzio assenso di cui alla legge 241. È un effetto del Comune blindato che non risponde alle SCIA come ai lavori pubblici, e di un Consiglio esautorato. Bassanini docet. In città intanto la stampa non parla più delle trattative altrettanto blindate che il sindaco sta conducendo con i fondi proprietari delle due squadre di calcio, Inter e Milan, per il nuovo stadio.
Ma oggi non c’è più l’abuso di ufficio.
Nel frattempo e da tempo i prezzi della casa, in affitto e in acquisto, sono saliti alle stelle. Il patrimonio pubblico è stato in parte venduto e in parte non utilizzato o sottratto al mercato. Si potrebbe definire una forma di aggiotaggio. E SENZA CASA SONO I CITTADINI. Sono tutti quelli costretti ad andare ben oltre la prima cerchia dei comuni dell’area metropolitana. È l’istituzione grande assente da parte delle scelte del comune e della politica regionale.
Ma Milano deve competere con le grandi città mondiali. Come queste anche Milano diventerà più attrattiva per una popolazione di cittadini short time. Sarà però certamente meno sicura.
Piano vigente, norme e verifiche di legittimità degli atti urbanistici
Il piano del 2019 entra in vigore nel marzo 2020. Non parla delle volumetrie, né che “si possono spostare” come ha sostenuto qualche esperto del settore. Il nostro vero problema è che non c’è certezza di volumetria! È solo indicato un indice massimo 0,7 nelle zone del TUC (Tessuto Urbano Consolidato) che non viene rispettato. Si vedano le ordinanze dirigenziali che ne complicano l’interpretazione.
La cosa più grave è che, dalle aree del documento di Piano non si capisce quale sia la volumetria prevista. Il numero maggiore di interventi urbani con più incremento di volumetria avviene (oltre a quelli con la SCIA, Segnalazione certificata di Inizio di attività) al di fuori dello strumento di PGT con gli Accordi di Programma. Accade per Scali, Beic, Olimpiadi, progetto FLii Fratelli Cadorna e altri. In questo caso non ha senso parlare di “spostamento” di volumetrie o di qualcuno che cede volumi a un altro come effetto della perequazione urbanistica.
Oggi tutti, in un modo o in un altro, rastrellano volumetrie e basta.
Il calcolo dei volumi che ancora manca
D’altra parte, manca un calcolo dei volumi totali e di quanto implicherebbero, e stanno già implicando, in termini di oneri mancati o da introitare anche sui cambiamenti di destinazione d’uso. Sono un esempio gli scali ferroviari e dalle SCIA. Manca soprattutto un calcolo in termini di carico antropico (ambientale, di traffico e di congestione urbana) per rapportarlo ai servizi necessari “puntuali” come i parcheggi o le scuole e quelli delle infrastrutture di rete. È un conteggio che qualche cittadino di qualche municipio ha già cominciato a fare. D’altra parte, lo sta facendo anche la magistratura inquirente, contabile e penale.
Dovremmo anche chiederci alcune cose. Come e perché il Comune non ha usato i fondi del PNNR per riqualificare l’edilizia pubblica gestione MM1 o ALer? Quanti sono i fondi usati nei casi degli accordi pubblico e privato e delle SCIA?
Regione e strumenti di piano di province e comuni
Prima dell’istituzioni delle regioni ogni PRG era sottoposto a un controllo di legittimità a livello nazionale. Dal 1971 il controllo passa alle Regioni poi ai Piani provinciali se coerenti con i PT regionali poi a un elenco di comuni tra cui Milano. Devono rapportarsi alla regione se le loro proposte non sono coerenti con il rispettivo piano provinciale.
Se con un controllo regionale sono inviate alcune osservazioni il comune si limita a prenderne atto. Non c’è nessuna conseguenza per chi non si allinea a meno che non ci sia un soggetto terzo che intervenga. Può essere un privato interessato che fa ricorso come è stato per alcuni casi di SCIA. Tempo addietro invece il ricorso di Italia Nostra sugli scali ferroviari non ha avuto alcun esito.
Non credo che tutto questo sia imputabile al complesso della legislazione urbanistica vigente certamente da semplificare e da rivedere. È noto che in Parlamento giacciono numerose proposte di legge sempre rinviate. A tanti governi è convenuto fare cassa con i condoni. Oggi ogni metro quadro è denaro fresco. Fa gola a più di un fondo mobiliare, soprattutto a Milano ritenuta da tempo una città sottocapitalizzata.
Come uscire da questa vicenda
Sono d’accordo con chi sostiene, come Luigi Corbani, che il Comune deve sbrogliare la vicenda. Deve ricorrere, non so come ma certamente con la magistratura, alla giustizia riparativa anche per non far vivere i dipendenti nell’incertezza per anni. Il sindaco e il dirigente che non firmano, possono invece ritenersi fuori pericolo.
La giustizia riparativa può far emergere le diverse responsabilità dei diversi soggetti coinvolti, senza dover passare necessariamente alle demolizioni degli immobili. Mi risulta che si possa ricorrere a loro parziali acquisizioni al demanio pubblico. È stato fatto persino nel profondo Veneto, in un comune non più leghista.
Contestualmente credo si debba fare attenzione al nuovo DL della Lega, se è vero che è stato presentato e che riguarderebbe le competenze delle Sovraintendenze e a cui avrebbe già risposto negando ogni disponibilità anche l’attuale ministro dei Beni Culturali, seppure dopo una presa di posizione del PD.
Lasciateci fare, qualche briciola cadrà
A questo proposito a me è venuto in mente il caso della demolizione dello stabile di fine via Terraggio/inizio Piazza Sant’Ambrogio. Ben visibile da via Carducci è presente nell’elenco della Sovraintendenza degli stabili da tutelare in quanto patrimonio del primo ‘900. Oggi viene alimentata una idiosincrasia verso tutti i vincoli, compreso quello della salvaguardia idraulica lungo le sponde del Naviglio grande nei pressi di Sant’Eustorgio. Vicino al capolinea della MM4 si vorrebbe costruire un centro commerciale. In continuità sarebbe disponibile un’area sottratta alle mafie.
Infine, una grande attenzione preventiva va rivolta anche al nuovo piano casa che inusualmente viene proposto in pendenza di legislatura. Sicuramente prometterà interventi per una maggiore accessibilità alla casa. Questa operazione mi ricorda la nota politica dei due tempi. È quella del lasciateci fare che poi qualche briciola cadrà per tutti. Si ricorre al social housing che di solito privilegia l’acquisto dell’alloggio e affitti extra ERP/oggi SAP.
Per calmierare il mercato privato delle case ci vuole un massiccio intervento per case in affitto con fondi pubblici e a costi ERP/SAP non solo con interventi di manutenzione o di ristrutturazione su interi complessi oggi pubblici. Potrebbero interessare segmenti di mercato che possono pagare di più. È il caso dei complessi residenziali di via Porpora e di viale Lombardia. Servono capitali pazienti sia pubblici che privati che siano interessati non solo a profitti immediati e certi, di una rendita fondiaria che si appropria di valore urbano, del bene città, costruito nel tempo.