Concessioni balneari a gara
MARCO LEONARDI – LEONZIO RIZZO
I balneari non vogliono le gare ma anche i Comuni non sono affatto interessati a farle. La responsabilità di scontentare i balneari ricade su di loro mentre tutto il gettito delle gare va al bilancio nazionale. Oggi non è prevista una valutazione competitiva di più offerte. Il canone stabilito per legge è di poco più di 3 euro al metro quadro di spiaggia. Per di più è identico in Costa Smeralda come su una spiaggetta sconosciuta. La vera autonomia sarebbe lasciare che i Comuni facciano le gare, raccoglierebbero presumibilmente 4 volte tanto e si tengano parte consistente di questo gettito. Il ricavato di oggi è meno di 100 milioni.
In questi giorni è ritornata all’attenzione dei media la questione dei balneari. In particolare, la mattina del 9 agosto vi è stato un ritardo nell’apertura degli ombrelloni di qualche ora. Hanno aderito una buona parte di imprenditori del settore. I balneari protestano. Non vogliono che il governo dia seguito alla richiesta della Comunità Europea di mettere a gara la concessione delle spiagge entro dicembre 2024.
La direttiva Bolkestein del 2006
Questa è ormai una lunga storia che si trascina da tempo. Nel 2006 entra in vigore la direttiva Europea n. 123, meglio nota come “direttiva Bolkestein”. La direttiva, per stimolare la concorrenza e proteggere i consumatori, richiede che il rilascio di nuove concessioni e/o il rinnovo di quelle già esistenti seguano procedure pubbliche, trasparenti e imparziali. Il problema sta negli incentivi sbagliati.
In Italia la responsabilità delle gare è in capo ai Comuni ma il gettito delle concessioni va tutto allo Stato. Così i Comuni non hanno nessun interesse a fare le gare, anzi hanno solo il problema di scontentare interessi decennali. Le cose sarebbero ben diverse se i Comuni fossero titolari anche del gettito per una compartecipazione maggiore. Ci si provò senza successo nel governo Draghi, sarebbe il caso di riprovarci.
La procedura attuale per ottenere una concessione balneare
Attualmente in Italia per ottenere una concessione balneare, è necessario seguire un processo che include la richiesta di concessione demaniale marittima presso l’ufficio regionale competente, l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni (ambientale, iscrizione al registro delle imprese, corsi di formazione specifici a seconda del tipo di concessione) e le necessarie licenze per eventuali servizi aggiuntivi come bar o ristoranti.
Non è quindi prevista una valutazione competitiva di più offerte. Il canone è stabilito per legge. Vi è un minimo che è di poco superiore ai 3.000 euro, oppure è previsto il pagamento di poco più di 3 euro al metro quadro di spiaggia nel caso di aree ad alta vocazione turistica. Questi valori sono identici su tutto il territorio nazionale e non tengono conto della potenziale redditività, legata alle condizioni di mercato, delle aree date in concessione.
Secondo l’ultimo rapporto della Corte dei conti, lo Stato ha incassato nel 2020 appena 92,5 milioni da 12.166 concessioni. Il canone pagato rappresenta circa il 3% del fatturato medio del settore. Una cifra irrisoria se si pensa che in media negli esercizi commerciali l’affitto rappresenta oltre 20% del fatturato.
Cosa succede in assenza di gare per i balneari
Il problema in assenza di gare è duplice. Si hanno dei canoni che producono un gettito irrisorio. Inoltre, la distribuzione dei canoni sul territorio nazionale è iniqua poiché concessioni estremamente redditizie (si pensi alle spiagge della Costa Smeralda) pagano lo stesso prezzo al metro quadro di concessioni che si trovano in territori molto meno appetibili. Una nota spiaggia in concessione in Sardegna ha un canone annuo di un più di 17.000 euro a fronte di un fatturato attorno ai 9,5 milioni di euro. In Costa Azzurra l’anno scorso è stata indetta una gara ove il prezzo minimo della concessione partiva da 107.000 euro.
Chiaramente l’introduzione delle gare per l’aggiudicazione delle concessioni permetterebbe di raggiungere dei prezzi per le concessioni che riflettono le condizioni di mercato, differenti quindi nelle varie parti del paese, nel rispetto ovviamente della profittabilità dell’impresa aggiudicatrice. Inoltre, le gare, se ben congegnate, garantirebbero un servizio di qualità a prezzi competitivi e un adeguato rimborso alle imprese uscenti per gli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati. Non da ultimo sicuramente aumenterebbe il gettito ricavato.
L’introduzione delle gare e l’aumento del canone
Senza far riferimento al confronto precedente con la Francia, che implicherebbe un incremento del canone di concessione di 10 volte, se l’introduzione delle gare portasse ragionevolmente a un aumento del canone di 4 volte rispetto a quello attuale e si aggiungesse come in Francia una percentuale legata al fatturato (per esempio il 3%), si potrebbe ottenere un gettito di circa 400 mila euro. Corrisponde al 10% dell’attuale Fondo di solidarietà comunale (FSC), che lo Stato distribuisce ai comuni.
Il ricavato delle concessioni attualmente va quasi tutto nelle casse dello Stato centrale. Si potrebbe includere parte ricavato nel FSC e parte lasciarlo nelle casse dei Comuni che indicono le gare. I Comuni sarebbero così sicuramente incentivati a indire le gare e monitorare l’efficiente svolgimento di queste ultime.
Pubblicato su Il Foglio il 10.08.24