Cessioni all’esportazioni e implicazioni “ex-works”
GIUSEPPE TRIPALDI Esperto di settore
L’operazione doganale di esportazione è un adempimento che si riflette nella sfera di due differenti agenzie fiscali, l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Dogane.
La normativa doganale fa riferimento all’esportazione quale regime richiesto per assicurare la materiale uscita dei beni dal territorio doganale della UE.
La normativa fiscale disciplina, invece, la cessione all’esportazione che si configura in presenza di una transazione. Questa prevede oltre al trasporto e alla spedizione dei beni al di fuori della UE, il trasferimento a titolo oneroso della proprietà o di altro diritto reale sui medesimi beni.
Il punto di collegamento tra le diverse discipline è costituito dalla prova del trasporto e della spedizione dei beni fuori dal territorio della UE, con riferimento alla dichiarazione doganale di esportazione, la cosiddetta “bolletta doganale”.
Restano, pertanto, in capo al soggetto cedente – che effettua la cessione all’esportazione non imponibile ai fini IVA ai sensi dell’articolo 8 del DPR 633/1972 – gli adempimenti di natura fiscale previsti dalla normativa IVA e la prova dell’esportazione per determinare l’uscita della merce dal territorio comunitario.
La clausola “ex-works”
Nello specifico, le cessioni all’esportazione, per le quali è prevista la prova del trasporto e della spedizione dei beni al di fuori del territorio dell’Unione Europea sono normate dal DPR 633/1972.
Articolo 8 – comma 1, lettera a)
ESPORTAZIONE DIRETTA
Il trasporto oppure la spedizione del bene al di fuori del territorio dell’Unione Europea avvengono a cura oppure a nome del cedente;
Articolo 8 – comma 1, lettera b)
ESPORTAZIONE INDIRETTA
Il trasporto oppure la spedizione avvengano a cura o a nome del cessionario non residente;
L’esportazione indiretta, nella prassi, si identifica con una cessione all’esportazione eseguita con la clausola di consegna “ex-works”.
Nelle operazioni commerciali in caso di consegna delle merci con clausola “ex-works”, il venditore adempie ai propri obblighi contrattuali, mettendo a disposizione dell’acquirente le merci presso la propria sede o presso altro luogo designato (fabbrica, magazzino).
L’acquirente è tenuto a ritirarle presso il luogo convenuto organizzando il trasporto e curando le formalità doganali.
La vendita in esportazione indirette con la clausola “ex-works” porta a dei problemi pratici.
Il cedente, nelle esportazioni con la clausola incoterms “ex-works”, ha sempre difficoltà a reperire la dichiarazione doganale di esportazione con il visto uscire. L’acquirente si serve di spedizionieri e corrieri sempre diversi.
Nel caso dell’esportazione indiretta per beneficiare della non imponibilità IVA è richiesto che la merce esca dal territorio dell’Unione Europea entro 90 giorni dalla consegna. È necessario anche il possesso della dichiarazione doganale con il cosiddetto visto uscire. Questo per evitare di incorrere nell’applicazione delle sanzioni.
Il termine di 90 giorni è stato previsto per evitare che i beni destinati all’esportazione vengano poi commercializzati all’interno del territorio nazionale. Si potrebbero verificare fenomeni di evasione fiscale.
Novità normative sulle esportazioni
Per tale ragione in passato, in caso di verifica, quando il termine di 90 giorni non veniva rispettato, così come quando il fornitore non era in grado di esibire la prova dell’effettiva esportazione dei beni all’estero entro il medesimo termine, l’Amministrazione finanziaria contestava l’illegittima applicazione del regime di non imponibilità e riqualificava l’operazione come soggetta a IVA.
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 98/E del 10.11.2014, ha chiarito che preso atto dell’indirizzo della Corte europea, il regime di non imponibilità, proprio delle esportazioni, si applichi sia quando il bene sia stato esportato entro i 90 giorni, ma il cedente ne acquisisca la prova oltre il termine dei 30 giorni previsto per eseguire la regolarizzazione, sia quando il bene esca dal territorio comunitario dopo il decorso del termine di 90 giorni previsto dal citato articolo 8, primo comma, lettera b), del DPR n. 633 del 1972, purché, ovviamente, sia acquisita la prova dell’avvenuta esportazione.
Laddove non si acquisisca la prova dell’avvenuta esportazione il contribuente, al fine di non incorrere nella sanzione di cui all’articolo 7, comma 1, del DL 471/1997 (50% del tributo), è tenuto a regolarizzare l’operazione entro i successivi 30 giorni dallo spirare dei 90 giorni.