IL LATINO VIVE

a cura di GIANCARLO ROSSI

Giancarlo Rossi

Giancarlo Rossi, Romanus natione, civitate Mediolanensis, nato nel 1944, laureato in architettura nel 1968, ha esercitato la libera professione dal 1969 al 2009.
È stato sempre attivo nell’associazionismo: socio fondatore del Circolo Società Civile, lo presiede per tre anni; animatore della Sodalitas Latina Mediolanensis; consigliere del Circolo Filologico Milanese; membro dell’associazione culturale Europa Latina; collaboratore dell’associazione Archeion; volontario dell’associazione Pernigotti.
Appassionato di latino, lingua in cui parla e scrive, è stato redattore della rivista vaticana Latinitas; coautore nelle due serie televisive Amor Roma; autore su Micromega di un’apologia del Latino, e curatore di rubriche di satira politica su Società Civile e sul Diario di Enrico Deaglio.
Consigliere dell’Academia Latinitati Fovendae, il cui compito è conservare la consuetudine umanistica, è interlocutore degli innumerevoli gruppi che attraverso le reti sociali usano comunicare in latino.
Ha curato, assieme all’amico Claudio Piga, l’edizione dei Colloquia Juliana per la fondazione Canussio e per l’editore Aragno la traduzione annotata di quattro opuscoli d’interesse umanistico: La Malinconia di Francesco Petrarca (2013), L’Avarizia di Poggio Bracciolini (2015), L’Impostura di Luciano di Samosata (2016), Vita di Pietro Bembo di Giovanni della Casa (2016).
È stato premiato al concorso Thalia nel 2023 per il testo di una commedia messa in scena a Vicenza.



Exordium

Torna a intervalli la questione del latino, specie d’estate, quando tocca riempire le pagine dei giornali, quasi mancassero argomenti ben più gravi, su cui dibattere… Serve? Non serve? A che serve? Che senso ha imporlo nell’insegnamento? È ancora materia formativa o inutile relitto del passato? Il latino è di destra o di sinistra? Studiarlo è da progressisti o da reazionari? Eccetera.

Per chi, come me, ha una certa età è davvero sfinente veder riproporre sempre i soliti dilemmi, come se non fossero già stati scritti fiumi di parole nell’ultimo secolo. Insomma il latino è argomento controverso. Si ripresenta ogni volta intatto alla discussione pubblica. Accende persino le passioni di opposti schieramenti, come col gioco del calcio.

Però tra le due squadre esiste una differenza sostanziale. I difensori del latino cercano di argomentare le proprie ragioni, alcuni bene, altri meno, ma sempre rimanendo sul piano razionale e senza ricorrere all’argumentatio ad personam, eludendo cioè la questione con un abusato artificio retorico ed aggredendo l’avversario, secondo il costume oramai consueto, inaugurato con successo una trentina d’anni fa in campo politico dai giornalisti berlusconiani. Gli avversari del latino invece non rispondono mai a tono. Non argomentano. Non smontano le asserzione degli altri. Affermano come indiscutibili dogmi le proprie opinioni ex cathedra. Denigrano chi osi contraddirli, spesso con un carico emotivo degno di miglior causa.

Porto un esempio per chiarire le differenze. Quando uscì su Micromega in anni lontani un’apologia ragionata del latino, un exprete tuonò sull’Avvenire che rimpiangere il latino era come rimpiangere Pol Pot!

Accomuna invece entrambe le squadre la trasversalità politica. Destra, sinistra e centro sono presenti tanto tra i fautori, quanto tra gli avversari. 

Da oltre quarant’anni faccio parte della schiera di coloro che vorrebbero diffondere la conoscenza del latino. Mi sono convinto che le difficoltà dell’apprendimento, lamentate da tutti a scuola, dipendano dai metodi didattici e non da qualche particolare caratteristica della lingua, che la rende ostica più di qualunque altra lingua moderna.

In questi anni mi sono anche persuaso che gli avversari del latino abbiano vinto moltissime battaglie, condotte con un accanimento incomprensibile e sproporzionato, ma stiano perdendo la guerra, da quando l’informatica ha collegato decine e decine di esperienze disperse nel globo in una rete comunicativa varia, efficace, consapevole e divertita.

C’è un aspetto paradossale: i dilettanti -cultores voluptarii in buon latino- che oltre a studiarlo lo usano per semplicità come strumento di comunicazione parlata e scritta, con i loro manipoli allegri, ma non per questo poco seri e tecnicamente non agguerriti, stanno assediando le cittadelle universitarie, dimostrando l’inutilità di certe difese accademiche e anzi il danno culturale di certe prassi didattiche, astratte, antiquate e dogmatiche.

Con queste pagine, vorrei inserirmi in un contesto di persone riflessive e scevre di preconcetti. Vorrei anzitutto rivolgermi ai genitori incerti a quale scuola iscrivere i propri figli, e poi ai loro ragazzi per esortarli a imparare il latino anche come imprevedibile forma di resistenza ai modelli cui la martellante comunicazione di massa vorrebbe conformarli. Tratterò i seguenti punti: