Latino strumento di lotta

a cura di GIANCARLO ROSSI

Giancarlo Rossi

Ragioni per cui valga la pena sapere il latino

Noi amici del latino a differenza della maggior parte degli avversari siamo lontani da ogni atteggiamento fanatico e dogmatico. Non c’immaginiamo davvero una sorta di panlatinismo obbligatorio per tutti e bacchettate di disprezzo per chi non lo sa. Sosteniamo semplicemente che valga la pena impararlo. In altre parole, siamo convinti che la fatica impiegata per apprenderlo è ripagata con gl’interessi.

Assodato e acquisito che qualunque studio comporta fatica. Va sempre fatto un bilancio tra costi, che non si possono evitare, e guadagni, che si spera di ottenere. È utile ricordare qui che alcune discipline si possono apprendere senza esagerare il peso della fatica, ma trovando un equilibrio tra sforzi e risultati.

Come già accennato, quando il latino, nella seconda metà dell’Ottocento e per tutto il secolo scorso, fu spogliato della sua funzione comunicativa e gli venne assegnato il fine pretestuoso di sviluppare l’intelligenza, cessò d’esser considerata una lingua, per diventare palestra mentale.

Fu allora che abbandonarono i normali metodi d’insegnamento delle lingue classiche, quali furono elaborati dai sommi pedagoghi del Cinquecento – Erasmo, Comenio, Vives – e perfezionati poi dai Gesuiti nella loro ratio studiorum. Esasperarono le difficoltà per la disperazione di alunni e docenti. Trasformarono l’apprendimento in un labirinto disseminato di trappole e in una corsa a ostacoli. Di qui l’antipatia diffusa verso il latino…

I metodi di apprendimento delle lingue moderne

E dire che esistono metodi mutuati da quelli delle lingue moderne, come quello elaborato da Hans Orberg, mediante i quali la fatica d’apprendere è commisurata ai risultati. Non è volutamente e sadicamente esasperata, come nel metodo cosiddetto grammaticale, tuttora in uso nei licei. Pensate a uno studente di pianoforte, costretto a interminabili ore di solfeggio, di teoria musicale, di studio dell’armonia, al quale sia impedito di ascoltare musica dal vivo e di mettere le mani sui tasti! Oppure a una giovane promessa del calcio, che debba imparare a memoria le formazioni delle squadre degli ultimi cinquant’anni e tutte le regole dell’arbitrato, ma non possa andare allo stadio e tanto meno scendere in campo a giocare una partita!

Si diceva dunque che vale la pena imparare il latino. Riporto volentieri qui di seguito alcune considerazioni riassuntive, che esposi parecchi anni fa, a conclusione di un saggio destinato ai professori e ai loro allievi. Ogni punto può essere argomentato e dimostrato con esempi, ed in parte vi ho accennato nelle pillole precedenti. Qui vi bastino i singoli punti, come invito alla riflessione. Ognuno troverà facilmente come sostanziarli, anche oggi, quantunque fossero scritti in modo polemico in tempi di berlusconismo trionfante.

Una funzione adeguata ai nostri tempi

Svilupperò invece il terzo punto. Consente di capire come mai una lingua, che è stata via via voce dell’impero romano, veicolo di cultura, riferimento normativo, strumento di comunicazione trasnazionale, palestra di formazione della classe dirigente, alimento spirituale, possa svolgere una funzione adeguata alle circostanze dei nostri tempi.

“Chi sa il latino infatti viene lentamente formato come uomo, acquisisce cioè humanitas. Rischia di sviluppare alcune doti, che sono fondamentali per un cittadino consapevole; ricapitoliamole: 

  • medita prima di giudicare; 
  • diffida dei pregiudizi e dei luoghi comuni; 
  • non si lascia ingannare dalle apparenze. Riconosce gli imbonitori. Si iscrive di diritto al partito degli àpoti, di quelli che non la bevono, partito fondato da Prezzolini, cui subito s’iscrisse Indro Montanelli; 
  • si nutre alle fonti della cultura occidentale; 
  • scrive e parla con consapevolezza la propria lingua materna; 
  • diventa insomma libero cittadino d’un ideale libera repubblica, che non ha confini né di tempo né di spazio.

In altre parole il latino è una buona bussola per orientarsi nel caos dei messaggi contemporanei. È spazio protetto dove conversare con le grandi anime del passato, è rinforzo d’identità personale e storica; il latino addestra alla sobrietà, favorisce la facoltà d’ascolto, sviluppa la generosità in ciascuno di noi.”

Rileggendo a distanza di quasi trent’anni queste parole, mi avvedo d’un certo modo enfatico, tipico dell’oratoria giudiziaria. Occorre riferirsi ai tempi, quando era urgente affermare le ragioni della cultura classica, attaccata da destra e da sinistra. Occorreva anche difenderla dai lugubri predicatori della “lingua morta”. Ci sembrava d’essere vasi di coccio tra vasi di ferro. Alzavamo la voce pure noi, ricorrendo, invece che agl’insulti, al tono elevato della retorica e al sarcasmo.

Battaglie locali e guerra globale

Oggi invece, siamo convinti come si diceva più su, che gli antilatinisti di tutte le risme abbiano vinto decine di battaglie locali, ma stiano perdendo la guerra globale. Possiamo quindi permetterci un tono più disteso e pacato, e guardare addirittura con ironia ai loro sforzi demolitori. Quanta energia sprecata! A differenza della barzelletta del vecchietto pazzo che, per non essere portato in manicomio, saltava come una scimmia da un tetto all’altro, imprendibile. Per fermarlo dovettero abbatterlo a fucilate. Noi amanti del latino continuiamo a danzare sui tetti, ma non ci hanno ancora abbattuti.

Anzi, come la volpe di Fedro, scrutando da dietro il sussiegoso mascherone di tragedia che indossano volentieri gli antilatinisti, esclamiamo: sed cerebrum non habet! Una volta sgombrato il campo dalle polemiche dei nostri avversari, vediamo dunque quale delle ragioni sopra enunciate sia quella più appropriata ai tempi in cui viviamo. Il destro ce lo offrono proprio loro, gli antilatinisti. Quale che sia il loro orizzonte ideale o politico, si sottraggono al dialogo. Si rifugiano, come abbiamo visto, nell’argumentum ad personam, non senza un sovrappiù di acredine e animosità.

Domandandocene il motivo, ci è sorto un sospetto. Secondo un proverbio romanesco caro a un uomo di potere, che se ne intendeva, “a sospetta’ se fa peccato, ma ce se coje”. Che forse l’ostilità pregiudiziale verso il latino sia simbolo e sintomo di altro? Sia sintomo dell’ostilità del Potere verso la cultura?

Tradizione umanistica e pensiero critico

È vero infatti che Destra e Sinistra, tranne una minuscola pattuglia di conservatori e gruppuscoli di cani sciolti progressisti, da decenni cospirano per abolire dalle scuole la tradizione umanistica. È lecito dedurre che chiunque detenga il potere, tema il diffondersi del pensiero critico, figlio prediletto della cultura in generale, specialmente di quella classica. Basti pensare alla stupefacente assonanza fra le riforme che ogni ministro, tanto nei governi di destra, quanto in quelli di sinistra, propone e dispone da sessant’anni.

Eppure dalla Destra ci aspetteremmo la restaurazione della scuola gentiliana. Dalla sinistra la rimozione degli ostacoli che impediscono a tutti i capaci e meritevoli di accedere agli studi superiori. Invece entrambe si accodano agl’interessi del blocco industriale e finanziario che governa il mondo. E preferisce avere docili esecutori piuttosto che cittadini critici.

E allora consentitemi di riproporre le domande che formulavo anni addietro: “Chi detiene il potere ha forse paura del latino? Teme cioè che per un popolo formatus ad humanitatem la sobrietà prevalga sulla dissipazione consumistica, la capacità d’ascolto prevalga sulla sordità del cuore, la generosità –generosus vuol dire nobile- prevalga sull’egoismo avaro e gretto? Teme che il rispetto delle leggi prevalga sugl’istinti delle masse e sugli arbitrii dei prepotenti? Il latino può essere strumento critico atto a presidiare la verità nella comunicazione di massa e a tutelarci dagl’imbonitori?”. 

Sono infatti ahimé ancora attuali queste riflessioni. La categoria degli imbonitori è stata rinforzata dalle truppe sterminate dei propagatori di menzogne, dalle centrali delle cosiddette fake news e dal diffondersi capillare delle teorie complottiste. È dunque fondato il sospetto che esista una contraddizione tra Potere e Cultura, di cui il latino è valido sussidio.

Democrazia e propaganda

È vero che il Potere è sempre riluttante a sottomettersi ai controlli e alle procedure della democrazia. Questi anni sono stati inaugurati secondo gli storici dalla Thatcher e da Reagan. Gli spazi della democrazia sono stati via via ristretti sotto la spinta della manipolazione comunicativa e delle menzogne contrabbandate per verità. Basti pensare alla guerra contro l’Irak. Vuoi vedere che il latino potrebbe contribuire alla difesa della democrazia?

Questo è il paradosso che propongo alla vostra riflessione!  La democrazia è sistema di governo fragile di per sé, in virtù della complessità delle istituzioni su cui si fonda. La sua funzionalità farraginosa dipende dall’equilibrio instabile fra i poteri. Non a torto Churchill la definì una pessima forma di governo, aggiungendo che però che non ce n’erano di migliori. Noi sappiamo che un regime democratico può essere abbattuto o impedito dalle armi. Lo abbiamo visto nel secolo scorso, quando si fronteggiavano i due imperi separati dalla cortina di ferro. Ungheria, Cecoslovacchia, Grecia, Cile, Argentina… insegnano.

E costatiamo purtroppo che può esser messo in crisi anche dalle astuzie della propaganda. Questo avviene specialmente oggi. Ai tre poteri, legislativo esecutivo e giudiziario, nei quali si articola e bilancia la potestà popolare, s’è aggiunto quello di manipolare le coscienze. Si ottiene attraverso la comunicazione di massa, appoggiata sull’invasiva televisione, dissipata in mille rivoli attraverso le reti sociali. Esempio palese dell’efficacia del monopolio televisivo fu la stagione berlusconiana. In poco meno di tre anni una martellante propaganda trasformò l’opinione pubblica italiana da accesa sostenitrice di Mani Pulite a sospettosa denigratrice del “protagonismo” dei giudici.

Verità e menzogna nella comunicazione

Oggi però non c’è più bisogno del monopolio della comunicazione. Lo teorizzavano già i regimi fascisti tra le due guerre mondiali. È tuttora pratica in gran parte il nostro sistema televisivo misto di privato e pubblico. È sufficiente interferire nella comunicazione con tecniche sofisticatissime. Si mescolano verità e menzogna, alterando con omissioni o con enfatizzazioni il peso delle notizie. Si sfruttando gli eventi casuali ora a proprio favore, ora a danno dei nemici. Ma soprattutto avviene mentendo, mentendo, mentendo.

Come si combatte il potere manipolativo della menzogna, che come la Fama vergiliana “vires acquirit eundo”, prende cioè forza a mano a mano che si propaga? Come si difende la democrazia dalle menzogne orchestrate dai potenti e dai loro lacché? Nessuno ha la bacchetta magica, purtroppo, ma un modo c’è, anche se lento e faticoso: la cultura! E in occidente almeno, la cultura, sul versante umanistico, ma anche su quello scientifico, è strettamente intrecciata col latino.

Il latino un’arma di verità

E chi sa il latino, come si è cercato di argomentare sinora, avendo imparato a meditare prima di giudicare, ed essendosi nutrito del pensiero dei grandi uomini dell’antichità, non cerca comode scorciatoie per interpretare la realtà, anzi meglio di altri riconosce le trappole della cattiva retorica e gli artifici della menzogna. Meno di altri si lascia ingannare dall’imbonitore di turno. Può anche darsi che preferisca dare il suo voto a chi appaia più credibile per argomentazioni. Allontani chi strilla più forte ed eccita le viscere e i testicoli, invece del cervello e del cuore.

Insomma il latino può essere un’arma di verità. Ben maneggiata ci difende dagli inganni della pubblicità, vuoi mercantile, vuoi politicante. Ci aiuta anche a riconoscere le notizie false diffuse dal passaparola informatico. Ci dà anche la speranza di comunicare con maggior consapevolezza con i nostri contemporanei.

Chissà, in un’ideale repubblica di cittadini armati di cultura latina, sarà minore il rischio di vedere il rovesciamento dei principi di civiltà. Alludeva il Petrarca in una sua famosa epistola all’amico Nelli, descrivendo la corte papale avignonese. Era quasi profeta di altre corti nostrane.


“Bonos mergi, malos erigi, reptare aquilas, asinos volare, vulpes in curribus, corvos in turribus, columbos in sterquilinio, liberos lupos, agnos in vinculis, Christum denique exsulem, Antichristum dominum!”

Vediamo i buoni sommersi, emergere i cattivi, strisciare le aquile, gli asini volare, le volpi sui carri, i corvi sulle torri, le colombe nel letamaio, liberi i lupi, gli agnelli imprigionati, alla fine Cristo in esilio, l’Anticristo dominatore.