Le ragioni dei nemici del latino
a cura di GIANCARLO ROSSI
Chi sono gli avversari del latino?
In quasi cinquant’anni di “militanza” ho costatato che gli avversari non sono molti. Appartengono a categorie ben individuabili. Hanno voce potente. Si mostrano quasi sempre animosi e irragionevoli, come se fosse questione di vita e di morte limitare o annullare la conoscenza diffusa di questa lingua e ostacolare qualunque innovazione didattica. Del resto le continue riforme scolastiche, a cominciare dalla scuola media negli anni sessanta sino al recente proliferare dei licei d’indirizzo, vertono quasi esclusivamente sull’abolizione o le riduzione all’osso delle ore di latino. Dove si concentrano dunque i nemici del latino?
Categorie diverse, stessa vis polemica
L’esperienza mi ha persuaso che allignano fra i politici, i pedagoghi ministeriali, gli intellettuali, gli accademici, i giornalisti e il clero. Ogni categoria per ragioni a tratti diverse, sono accomunate dalla stessa vis polemica. Davvero singolari e paradossali i casi dei santuari universitari della filologia classica. Sono ostili a priori a qualunque proposta d’innovazione didattica delle lingue antiche, e del clero cattolico in toto -salvo una pattuglia di nostalgici del rito tridentino- benché alla cultura grecolatina si debba la crescita e la diffusione del cristianesimo.
Stupiscono meno i politici. Si adeguano appena possono agli stereotipi e alle banalità del sentire comune, quale emerge dai sondaggi. Non amano turbare il buon senso spicciolo. Ancor meno meravigliano i giornalisti. Salvo esempi rarissimi e preclari, da decenni non osano disturbare i politici e si schierano dalla parte del più forte del momento, come in un campionato tra squadre di calcio. Gli antilatinisti dunque su quali argomenti fondano la propria avversione?
Più che argomenti, che si possano discutere, accettare o confutare, sono pure, purissime asserzioni: il confronto con l’inglese, la difficoltà della lingua, il modello di riferimento, i neologismi, la pronuncia. Però il principale, e più stupido argomento, cento volte ripetuto, che il latino sia lingua morta, lo vedremo per ultimo.
Latino e angloamericano
Alcuni fondamentalisti del latino -ce ne sono anche tra di noi…- ne predicano il primato sull’inglese. Pretenderebbero che questo sia soppiantato da quello, suscitando il sarcasmo delle persone di buon senso e la preoccupazione di chi il latino ama davvero. È ovvio infatti che riproporre come lingua comune veicolare il dialetto degli antichi Romani è pura utopia antistorica. Pretendere un consenso universale su questa proposta è fantascienza. Oltretutto è un falsa contrapposizione. Se infatti le lingue sono come un veicolo, secondo una vulgata metafora, l’inglese è un veicolo spaziale che ci trasporta oggi ovunque nel mondo. Il latino è una macchina del tempo, che ci fa viaggiare per un intervallo di circa 25 secoli.
Hanno dunque ciascuna la sua funzione specifica e insostituibile. Contrapporre le virtù dell’una alle virtù dell’altra è mera esercitazione di cattiva retorica. Quindi, quando ci obietteranno che anche fra noi ci sono i Talebani, che vorrebbero imporre il latino a tutti, replicheremo che non si giudica una proposta generale, prendendo pretesto da una minoranza estremista. In termini tecnici è generalizzazione indebita, come quando contestiamo l’efficacia d’un vaccino, perché la signora del piano di sotto ne è morta.
Difficoltà e didattica
Il latino è difficile, affermano! Obiezione degna del populismo oggi imperante: ogni lingua è difficile, perché costa fatica impararla! Certo per il latino le difficoltà sono state esasperate dai metodi d’insegnamento, codificati a metà dell’ottocento dai grammatici tedeschi e poi introdotti nell’insegnamento liceale, con tutto il peso vessatorio e punitivo della mentalità prussiana.
Chi ha più di settant’anni e studiò latino nella scuola media, lo sa bene. Certamente rammenta le amenità filologiche del tutto superflue, come i parisillabi e gli imparisillabi, gli accusativi in “im”, l’eccezioni alla consecutio temporum eccetera. Dopo la riforma della scuola unificata furono tentati metodi nuovi. Sono stati fondati sul postulato che possa sciogliersi la “competenza passiva” dall’abbraccio della “competenza attiva”. La grammatica è stata svincolata dall’uso, vale a dire l’anima dal corpo.
Gli anni recenti
Infine in anni recenti si sono adombrati nuovi scenari didattici: la separazione della cultura classica dalle lingue con cui s’è espressa e la riforma dei cicli, propugnate dai riformatori di sinistra, e poi le tremende tre I berlusconiane, impresa inglese internet, sicuramente lontane tanto dalla tradizione gentiliana, quanto dalla funzione formativa della scuola; tralasciamo l’ultimo nefando decennio…
Come che sia, con Virgilio si direbbe di entrambi, della destra e della sinistra: timeo Danaos et dona ferentes! Poi c’è il cosiddetto metodo naturale, celebrato in età umanistica, e tuttora usato con profitto da alcuni docenti. È un metodo che non solo ci fa comunicare davvero con le persone viventi, e la lingua è cosa viva, ma è anche il più efficace ed economico. Se ne accennerà più avanti.
Neologismi
Ci chiedono: come fate a usare il latino, quando occorre nominare qualcosa ch’era ignota ai Romani? È un falso problema. Il lessico latino classico e postclassico è infatti talmente ricco da poterne trarre quasi tutto. Da sempre gli scrittori si sono impegnati sia ad ampliare i significati delle parole esistenti, sia a coniare vocaboli nuovi per designare cose e concetti sconosciuti all’antichità. Insomma oggi non c’è concetto o cosa che non possa esprimersi in latino, fatta salva l’indole di questa lingua, che, analogamente ai dialetti, preferisce il concreto all’astratto.
Modello linguistico di riferimento
Un altro falso problema è quando si propone l’uso vivo della lingua. Alcuni domandano stupiti: quale lingua? Quella di Cicerone o quella di Tacito? Quella di San Tommaso o quella degli Umanisti? La risposta è semplice. È quella codificata da un uso plurisecolare, che assume come riferimento il modello ciceroniano, così come fu interpretato dagli umanisti. Lo adatta poi alle proprie esigenze espressive; e comunque ognuno è libero di scegliersi il modello che più gli aggrada.
Pronuncia
In un convegno svoltosi ad Avignone nel 1956 si stabilì d’unificare le pronunce nazionali e d’adottare la restituta, cioè la ricostruzione della più probabile pronuncia in uso fra il primo secolo avanti Cristo e il quinto dopo; e quindi l’oratore sommo che Francesi, Inglesi, Spagnoli, Tedeschi pronunciavano ciascuno a modo suo, torna a essere Kikero. Il latino si legge come si scrive. Le c e le g sono dure, le vocali distinte in lunghe e brevi, i dittonghi sciolti. Parlava proprio così Cicerone? Sicuramente no! Nei millenni si è perso il colore del suono della lingua, l’inflessione, la musicalità; diciamo che la pronuncia restituta è solo l’eco lontana dei suoni antichi, ma è comoda per la comunicazione.
Lingua morta
Appena si dichiara, sulla base dell’esperienza, che per imparare il latino bisognerebbe usarlo, com’è prassi nelle lingue moderne, subito obiettano che non si può: il latino, asseverano con sussiego, è lingua morta! Sia pure, è lingua morta. Allora sono morte tutte le lingue sacre, l’arabo classico del Corano, l’ebraico della Torà, il greco bizantino, il paleoslavo, il sanscrito. Sono lingue che nessuno apprende bambino dai genitori. Continuano però a essere usate dalle principali religioni, e sono una straordinaria e insostituibile epifania del sacro.
Similmente sono morte le lingue ausiliarie, come l’Esperanto, tuttora usato da milioni d’appassionati internazionalisti; il Suahili praticato in gran parte dell’Africa; ancora l’arabo classico, usato per la comunicazione, la cultura e la scienza in tutti i paesi che hanno per lingua nazionale una sua variante dialettale. Non parliamo poi di quello strano dialetto internazionale derivato dall’Inglese, sgrammaticato, rozzo, fatto di cento parole, col quale comunicano in tutto il mondo turisti, informatici, commercianti, canzonettieri. Ma chissà perché, per i nostri soloni, solo il latino, fra tanta compagnia vivente, è lingua morta….
Prossimamente vedremo le ragioni per cui noi amanti del latino pensiamo valga la pena impararlo.