Inflazione e bilanci di Stato e Comuni
MARCO LEONARDI – LEONZIO RIZZO
L’inflazione ha gonfiato i bilanci dello Stato ma ha impoverito quelli dei Comuni. A pagarne il conto saranno i cittadini per ben due volte. La prima volta, perché dipendenti e pensionati che pagano l’IRPEF hanno già pagato 25 miliardi di Fiscal Drag nelle casse dello Stato. La seconda volta perché, per effetto della riduzione dei trasferimenti dallo Stato ai Comuni, prima o poi i comuni saranno costretti a tagliare i servizi.
Dal 2015 in poi, in conseguenza dell’abolizione dell’IMU sulla prima casa, i Comuni dipendono sostanzialmente dai trasferimenti dallo stato. Un’analisi attenta conclude che 25 miliardi di gettito straordinario da Fiscal Drag è entrato nelle casse dello stato. Solo le briciole sono state distribuite ai comuni. Questi ultimi si trovano quindi di fronte a un taglio in termini reali delle risorse. Mentre i trasferimenti dallo Stato per le funzioni base sono rimasti per lo più fissi, dal 2019 al 2023 l’inflazione è aumentata del 17%. Con essa sono aumentati i costi dei comuni.
Il vizio sta nel manico. Il gettito dello Stato è in gran parte dovuto all’IRPEF. È un’imposta progressiva che si gonfia in modo meccanico in tempi di inflazione con il Fiscal Drag. Anche il gettito dell’IVA aumenta con l’inflazione. Invece, le entrate correnti dei comuni sono dovute all’IMU seconde case e altro (multe, etc.) che non aumentano con l’inflazione. Soprattutto i trasferimenti dallo Stato – per quanto riguarda il finanziamento dei servizi base dei Comuni – non sono aumentati.
Come si compone la finanza dei comuni
È vero che i comuni hanno una piccolissima addizionale IRPEF su cui possono anche loro fare un po’ di Fiscal Drag. Alcuni comuni – contrariamente allo Stato centrale – hanno sterilizzato il Fiscal Drag alzando le soglie di esenzione per i cittadini.
Il puzzle della finanza comunale si compone così. In primo luogo, ci sono due grandi fondi: il fondo nazionale trasporti di circa 5 miliardi, che dal 2019 al 2023 è aumentato del 8% e il fondo per le politiche sociali di 1,8 miliardi, in crescita del 28% rispetto al 2019. Questi fondi vanno dallo Stato ai comuni (attraverso le regioni). Sono destinati al finanziamento di servizi specifici e sono aumentati a fronte di servizi aggiuntivi. Il punto è che, invece, non sono affatto aumentati i trasferimenti per i servizi di base. Questi costi sono lievitati.
Il fondo di solidarietà fra Comuni
In secondo luogo, le entrate dei comuni vengono dal fondo di solidarietà comunale. Nel 2025 vale 6,8 miliardi di euro. Come dice la parola, il fondo di solidarietà comunale contiene un pezzo (1,5 miliardi) di redistribuzione solidale tra i comuni. I più ricchi di risorse da IMU redistribuiscono a quelli più poveri. Questa parte non rileva per il nostro ragionamento. È una redistribuzione orizzontale tra comuni che somma sempre a zero per definizione.
Nel fondo di solidarietà ci sono però anche 4,8 miliardi “verticali” che vengono dallo Stato. Questo fondo è aumentato di circa 1,4 miliardi dal 2019 al 2025. Ma anche qui c’è il trucco. L’aumento corrisponde alla restituzione di un taglio per 560 milioni del 2014 e dal finanziamento di nuovi servizi sociali che sono stati attribuiti ai Comuni negli anni (859 milioni). In altre parole, l’aumento del finanziamento da parte dello Stato ai Comuni sono dei fondi vincolati che finanziano dei servizi sociali nuovi che i Comuni sono tenuti a fornire.
L’unico vero aumento straordinario, senza vincoli di destinazione, è avvenuto con l’ultima legge di bilancio. Saranno spalmati nel corso dei prossimi 5 anni 310 milioni aggiuntivi. Tuttavia, questi saranno destinati solo a circa la metà dei Comuni, e con un criterio discutibile. E comunque sono briciole, di fronte all’extragettito da 25 miliardi da Fiscal Drag dello Stato.
Come funzionano le spettanze
C’è una terza e ultima fonte di trasferimento di risorse ai comuni le c.d. “spettanze”. Sono trasferimenti dal Ministero dell’Interno ai Comuni. Riguardano per lo più fondi vincolati. Dal 2019 al 2022, ultimo anno disponibile, le spettanze sono aumentate di 3 miliardi. Ma una volta tolti tutti i trasferimenti vincolati, gran parte legati all’aumento dei costi dell’energia (DL 17/2022), contributi eccezionali a sostegno della spesa per investimenti, spese complementari al PNRR, rimborso spese elettorali e aumento delle indennità dei sindaci, rimane un aumento di trasferimenti non vincolati di meno di 50 milioni di euro tra il 2019 e il 2022.
In conclusione, dal 2015 e con l’abolizione dell’IMU prima casa, la finanza comunale è un labirinto in cui pochissimi ci capiscono. Finché non c’era l’inflazione, tutto era facile da monitorare, spese ed entrate erano costanti. Con l’inflazione tutto cambia, e per le funzioni base, al netto dei trasferimenti vincolati per finanziare nuovi servizi, i bilanci dei comuni sembrano aver perso potere d’acquisto esattamente come i lavoratori dipendenti e i pensionati.
Pubblicato su Il Foglio il 01.03.25