La grande ambizione
SIMONE NEGRI • Consigliere Regione Lombardia
Temevo fosse un film agiografico. Non lo è, se non nella parte finale con i funerali di Berlinguer. Temevo pesassero le mancanze storiche – non compaiono personaggi del calibro di Craxi, Napolitano, Amendola – ma non hanno pesato. Cosa mi porto via de “La Grande Ambizione”? La grande ambizione, appunto.
È l’idea che la democrazia italiana si potesse compiere, attraverso l’attuazione del compromesso storico e l’arrivo al governo del PCI. La collaborazione impossibile tra i due principali partiti popolari e attraverso questa la realizzazione della via democratica al socialismo.
C’erano le condizioni? No.
Sempre, da quando faccio politica, mi pongo la domanda: che agibilità c’è? Qual è il raggio d’azione? In che perimetro ci si può muovere? Quali sono i vincoli? Anche rispetto alla mia personale e marginale esperienza.
E quindi inevitabile domandarmi: che margini avevano allora Berlinguer e Moro? Nessuno.
Berlinguer vittima di un attentato in Bulgaria, da cui è riuscito a salvarsi. Su Moro sappiamo com’è andata. In via Caetani o meglio, in via Fani, la fine di quell’ambizione e forse della prospettiva del PCI.
L’esperienza dei comunisti in Italia
Tanto Russia quanto Stati Uniti non volevano che andasse in porto un governo con il Partito Comunista Italiano. Impressionante nel film quanto fosse tribolato e angosciante il rapporto di Berlinguer con l’URSS.
Ma al contempo, di quale coraggio fosse dotato il segretario del PCI. Quanto credesse in quello spiraglio, per tornare all’agibilità politica. E quanto fosse diversa l’esperienza dei comunisti italiani rispetto al blocco sovietico. Democratica, pluralista, con il costante richiamo alla Costituzione. Verrebbe da dire: “prima la Carta, poi Marx e Lenin”. Coraggio anche nel rapportarsi con la famiglia, i figli, la sera a casa. Nel raccontargli che sarebbe potuto essere rapito e che non chiedeva per sé nessuna trattativa.
Lo spiraglio strettissimo. Tra guerra fredda, eversione, terrorismo, la questione giovanile… e tutti gli altri vincoli che non sono emersi nel film.
Ma pure la capacità di dialogare con la base – le assemblee e i pranzi con gli operai – il lavoro di convincimento degli iscritti su una scelta non facilmente accettabile e in discontinuità con la storia dei primi 30 anni della Repubblica. Lavorare per un patrimonio di idee e valori condivisi, anche di fronte alle svolte. Il crearsi un popolo.
Amarezza ma anche speranza
È un film di oggi su “mostri sacri” e soprattutto dopo il crollo di considerazione della classe politica. Si vede: Moro nella pellicola è un incrocio tra una figura principesca, l’Arcangelo Gabriele e il direttore supermegagalattico di Fantozzi.
Il film rende bene il fascino di questi “splendidi sconfitti”: sobrietà e compromesso, ma storico. Guai a leggerlo come un governo di larghe intese: lì era il sincizio delle masse popolari, c’era il popolo. Solo il PCI arrivava in quegli anni a 12 milioni di elettori…
Il fatto che l’operazione fosse così complicata – irrealizzabile? – l’ha trasformata in utopia. E chi la voleva, in eroe.
Solo amarezza? No, anche speranza incredibilmente. Il mondo di oggi conta disgrazie e un disordine inedito. Che però può essere un’occasione: chiunque può andare al governo in Italia se raccoglie consenso. Non c’è l’URSS, gli USA – soprattutto dopo Trump – sono in una fase diversa… Certo c’è astensionismo, disaffezione. Il consumismo ha forgiato le coscienze e orientato le menti.
E nonostante tutto, non si può che guardare con un po’ di ammirazione a quell’Italia degli anni ’70, con contraddizioni enormi, rischi terribili (il colpo di Stato in Cile), ma con una politica effettivamente rappresentativa, un senso di responsabilità oggi sconosciuto. La voglia di lottare per il futuro, ideali collettivi, qualche conquista e una partecipazione alla vita comune che quelli della mia generazione non hanno mai assaporato.