La politicizzazione della storia
CITTÀ E CITTADINI GIOVANI

La politicizzazione della storia

MARCO SECHI

Lo scorso 17 febbraio 2025 il Fatto Quotidiano pubblica un’intervista alla professoressa Loredana Perla. È ordinaria di Pedagogia Speciale all’Università di Bari – Aldo Moro. Nell’intervista la professoressa Perla mette in primo piano l’urgenza di istruirsi sulla Patria e i suoi simboli celebrativi. Anche il titolo dell’articolo lo afferma a chiare lettere. L’intervista si chiude con un’invettiva contro la “geostoria”. È la materia definita “fantomatica”, la cui introduzione è attribuita alla riforma Gelmini.

Sia chiaro che non è mia intenzione difendere una riforma che ho contrastato in gioventù durante il liceo. Ho partecipato a manifestazioni di dissenso di vario genere. Piuttosto, mi interrogo sui contenuti dell’intervista che appaiono quantomeno discutibili. Si tratta di una questione che sento molto vicina per i miei studi universitari e le successive ricerche accademiche. Il metodo storiografico che afferisce a un dialogo tra geografia, storia e scienze sociali non è un vezzo stravagante. Ha delle origini notevoli. Risalgono alla metà del XIX secolo con il Positivismo francese e Vidal de la Blache, precursore del sodalizio tra geografia e scienze sociali.

Chi sono gli agenti storici

Tale connubio viene corroborato nel frattempo dal concetto di “idealtipo”, concepito dal sociologo tedesco Max Weber. Gli agenti storici non sono solo gli esseri umani. Lo sono anche le grandi componenti sociali e ideologiche, le quali agiscono all’unisono come se fossero dei personaggi storici. A partire dagli anni ’20 del Novecento, sempre in Francia, Marc Bloch e Lucien Febvre creano la rivista Annales d’histoire économique et sociale”. Teorizzano una Nuova Storia e derubricano gli strumenti del mestiere dello storico. Fu così che nacque la Scuola delle Annales. La stessa rivista vide nuova luce negli anni ’70 dello stesso secolo, grazie a uno dei suoi massimi esponenti. Si tratta dello storico Fernand Braudel.

Costui fu l’autore di una delle metodologie storiografiche più influenti. Sarà poi utilizzata come modello epistemologico per la scrittura della storia in tutta Europa. La sua teoria prevede un legame stretto tra la geografia e la storia. Si basa sull’assunto per cui la durata storica di un evento è direttamente proporzionale alla grandezza del territorio in cui accadono gli eventi storici. Capita perciò che, al tempo delle guerre di religione tra Occidente e Oriente, la religione Cristiana e la religione Musulmana diventano protagoniste della storia.

Lo scenario degli eventi si estende dai latifondi feudali dell’Europa ai traffici commerciali del Mar Mediterrane. È il terreno di scontro tra due potenze religiose e politiche, l’Impero di Spagna e l’Impero Musulmano. Tali questioni sono affrontate nel capolavoro di Braudel “La Méditerranée et le monde meditérranéen à l’époque de Philippe II”. L’autore ha siglato questo connubio tra due materie apparentemente distanti e con un oggetto di studio differente.

Cosa prevedono le nuove indicazioni 2025

Questa breve introduzione non vuole essere un mero esercizio di erudizione, bensì ci conduce al secondo fatto discutibile. Pochi giorni fa, infatti, la commissione per la revisione della didattica istituita dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, di cui la professoressa Loredana Perla è coordinatrice, ha pubblicato il documento intitolato “Nuove Indicazioni 2025. Scuola dell’Infanzia e Primo ciclo di istruzione. Materiali per il dibattito pubblico”. Mi concentro subito sulla parte dedicata all’insegnamento della storia nella scuola primaria. È la materia a me più affine, come ho detto, per via della mia formazione e dei miei studi accademici. In più, sono io stesso un docente di scuola primaria, quindi ritengo sia pertinente anche per la mia professione.

Invettive e mistificazioni sulla Scuola delle Annales

Per ironia della sorte, o forse sine ira ma cum studio, il paragrafo dedicato alla storia esordisce con una citazione di Marc Bloch. Lo storico francese, oltre che l’ideatore della rivista delle Annales e della relativa scuola storiografica, è stato uno dei principali membri della resistenza antifascista in Francia. Questo elemento dovrebbe dare lustro a tutto il documento e allo studio fatto dai professori plurititolati che hanno firmato la sezione dedicata alla storia. Il testo però procede con un’elucubrazione retorica degna di una poesia del D’Annunzio o del Carducci. Celebra i fasti della Patria, della Nazione e della politica. 

È dal 2020 che mi trovo, mio malgrado, a dovermi confrontare con invettive e mistificazioni sulla Scuola delle Annales. Questa citazione di Marc Bloch pare proprio una di queste occasioni. La cosa non sarebbe degna di nota, se non fosse che spesso i suoi più grandi detrattori sono dei professori dall’importante curriculum accademico. Accadde, infatti, che durante quell’anno pandemico, quando ancora eravamo costretti a relazionarci in videoconferenza, fui invitato a dialogare con il professor Francesco Cesare Casula. Questi, oltre che esimio paleografo ed esperto di diplomatica, fu anche consigliere dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

Le pericolose commistioni tra storia e politica

Il professor Casula è mio concittadino. Ebbi quindi l’onore di poter commentare con lui una scoperta archeologica di grande portata storica e artistica nel nostro paese d’origine. A latere, fui chiamato a commentare una sua recente opera storica, in cui elaborò la “dottrina della Statualità”. Questa dottrina afferma che il Regno d’Italia si sarebbe dovuto chiamare Regno di Sardegna. Fu proprio il regno savoiardo a conquistare tutti gli altri regni italici, compiendo l’unificazione nazionale. La dottrina lusingò non poco i nazionalisti e gli indipendentisti sardi. In molti accolsero con felicità e acriticamente le teorie dello storico sardo. Furono presentate a mezzo stampa e sulle principali televisioni locali.

Preoccupato dalla commistione pericolosa tra storia e politica, mi presentai. Citai uno degli esponenti della scuola delle Annales, Pierre Nora. Lo storico dovrebbe scongiurare il rischio di assumere delle posizioni nazionalistiche. Difatti, la storia deve astenersi da ogni tentativo fideistico o celebrativo nei confronti della nazione o dell’ideologia politica. Gli stessi dubbi furono espressi già da Fernand Braudel, in merito all’opportunità di celebrare attraverso le sue opere storiche i fasti della République. “Ma questa passione” – per la Francia, n.d.r. – “non interverrà certo nelle pagine di quest’opera. La terrò accuratamente in disparte, è possibile che mi tenti, che mi sorprenda, perciò la sorveglierò da vicino”.

La storiografia non deve perdere il senso critico

La Scuola delle Annales riservò grande attenzione a questo tema. Si allontanò da una certa storiografia che identifica la memoria con la storia. Il rischio è di non tenere conto dell’azione mediatrice della traccia, ossia del documento, del reperto archeologico, che testimoniano per l’evento accaduto nel passato. La storiografia che pretende di celebrare e commemorare i fasti di una nazione perde di senso critico, la allontana da qualunque criterio di scientificità e la spinge verso il Revisionismo o, peggio, il Negazionismo.

Le “Nuove Indicazioni 2025. Scuola dell’Infanzia e Primo ciclo di istruzione. Materiali per il dibattito pubblico” sembrano incappare in pieno nei rischi ideologici esaminati in precedenza. In primo luogo, l’assunto per cui “solo l’Occidente conosce la Storia” è un’affermazione quanto mai discutibile e di difficile interpretazione. Ammesso che, leggendo le righe successive, chi ha scritto volesse sottolineare il fatto che la storiografia è nata con la cultura greca e occidentale, il proposito malcelato si palesa nelle indicazioni sui programmi. Il primo biennio della scuola primaria mette in pratica “l’ammaestramento per l’azione che fin dall’inizio la storia ha posseduto nella nostra cultura”.

La Bibbia e i classici della letteratura

Si parte dalla tanto chiacchierata esegesi biblica. È accostata a onore del vero a classici della letteratura come l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide. Si passa poi a celebrare i fasti e i simboli del Risorgimento, con l’insegnamento di canti patriottici, le imprese dei Garibaldini, gli eventi caratterizzanti che hanno portato all’Unità nazionale. Ammesso che nei primi due anni di scuola primaria un bambino riesca a imparare a leggere e scrivere, bisogna produrre un conato creativo superomistico, per immaginare di insegnare ai neofiti studenti italiani le differenze tra Monarchia e Repubblica. Così indicano i desiderata delle “Indicazioni”.

La cosa più preoccupante è questa. Si ironizza sullo “obiettivo, del tutto irrealistico, di formare ragazzi (o perfino bambini!) capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente magari alla luce delle diverse interpretazioni storiografiche”. Effettivamente la parola d’ordine è istruire gli allievi “su quanto è stato davvero determinante, in primo luogo nella vicenda storica italiana”. Sarebbe quindi irrealistico voler insegnare il senso critico, mettere in discussione ciò che si legge, la capacità di valutare le cose da più punti di vista, il legame della storia con i reperti archeologici e le tracce documentarie? Meglio una narrazione che metta in primo piano ciò che è successo in Italia, il resto viene dopo.

La triste fine di Marc Bloch

Il tutto appare più grottesco, se accostiamo a queste indicazioni la già menzionata citazione d’esordio della frase di Marc Bloch. Invero, questo appare un goffo tentativo di piegare il pensiero del bistrattato storico francese alle logiche celebrative e commemorative dei programmi ministeriali. Se quella volta il professor Casula ammise di voler “uccidere” Marc Bloch una seconda volta, indicando la Scuola delle Annales fra i suoi più acerrimi nemici, i suoi beniamini della commissione ministeriale hanno eseguito la sua vendetta. Hanno accostato l’intellettuale francese a una visione storica asservita alla politica e all’ideologia. Forse, Marc Bloch avrebbe voluto morire una seconda volta, piuttosto che fare questa fine. 

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