La rendita fondiaria secondo Campos Venuti
EDUARDO BARBERA Studente di Urbanistica al Politecnico di Milano
Campos Venuti scrive “Amministrare l’urbanistica” negli anni ’60. L’autore riconosce la necessità di intervenire nel processo di trasformazione delle città italiane per estirpare un problema che sempre di più impedisce una crescita urbana sana. Questo determina l’evidente squilibrio sociale che caratterizza le nostre città.
Il problema è la rendita fondiaria urbana
La rendita fondiaria urbana è il reddito che deriva dalla proprietà di un terreno in funzione di uso edilizio urbano. Il valore di questa rendita è pari alla differenza fra il valore di mercato dei terreni edificabili e il valore che i suoli avrebbero a fini dello sfruttamento agricolo. Tale differenza viene definita plusvalore. Questa differenza è la rendita che viene percepita dalla proprietà dei terreni.
Campos Venuti mette in luce come sia possibile scomporre il fenomeno della rendita fondiaria urbana in due diversi addendi. Esiste la rendita assoluta e la rendita differenziale.
La rendita assoluta è legata alla capacità di un fondo di partecipare alla vita di una comunità. Non è legata alla prossimità con un aggregato urbano, ma bensì al livello di infrastrutturazione di cui è dotato il suolo e alla previsione di possibilità edificatorie.
La rendita differenziale dipende invece dalla particolare posizione che il fondo assume all’interno di una realtà urbana. Il valore è determinato dalla maggiore o minore richiesta per la determinata area che ospita il fondo.
Entrambe le rendite sono portatrici di effetti negativi
Quella assoluta è causa di una carenza sul mercato di aree urbane, o perlomeno a prezzi accessibili. La natura dei suoli urbani è irriproducibile e non esposta al rischio dell’invecchiamento. L’inarrestabile espansione delle città quindi la grande domanda, il rischio di investimenti di capitali in aree fabbricabili è praticamente nullo. Si crea dunque un “oligopolio collusivo” dei grandi proprietari terrieri che stabilisce i prezzi dei fondi altissimi.
La rendita differenziale invece, dato che le aree a destinazione residenziale consentono un maggiore guadagno alla proprietà dei suoli, causa uno squilibrio tra abitazioni e servizi. Si creano quindi zone privilegiate, ben servite, e zone svantaggiate, prive o quasi di servizi.
Secondo Campos Venuti è opportuno sottolineare oltre la natura “monopolistica” della rendita fondiaria anche quella speculativa e quella parassitaria. Le caratteristiche speculative sono legate al fatto che la rendita fondiaria sia una rendita quindi non un profitto. Ciò comporta l’assenza di salari da pagare, materie prime da acquistare e di una produzione. È necessario esclusivamente un investimento iniziale. La natura parassitaria della rendita fondiaria risiede invece nel fatto che è largamente sostenuta e garantita dai soldi dei contribuenti. Questi vengono spesi nell’infrastrutturazione e nell’urbanizzazione dell’area e consentono l’edificabilità del fondo.
Finora abbiamo evidenziato le problematiche legate alla rendita fondiaria adesso sarebbe interessante capire quali potrebbero essere le soluzioni.
Alcuni hanno proposto di ridurre la rendita differenziale diminuendo la distanza virtuale tra centro e periferia. Serve migliorare il sistema dei mezzi di trasporto sia collettivi sia individuali. Così facendo si vorrebbe appiattire il disequilibrio di servizi tra le differenti zone. Si potrebbe garantire così una, almeno parziale, omogeneità dei prezzi degli immobili.
Il risultato però, secondo Campos Venuti, non sarà quello sperato. I provvedimenti di miglioramento del traffico infatti, presi singolarmente, rischiano solo di aumentare la desiderabilità delle aree centrali. Ora sono ancora più servite, e, di conseguenza, accrescono ulteriormente la loro rendita differenziale. Già negli anni ’60, a causa del congestionamento dei centri, si stavano creando anche lontano dal cuore della città nuovi quartieri privilegiati. Si sono create così nuove fonti di rendita differenziale. Ciò dimostra che non è tanto la vicinanza dal centro a determinare la rendita quanto il grado di “libertà urbane” offerte dal quartiere. Contemporaneamente l’espansione della città continuerebbe ad alimentare la rendita assoluta.
Individuare dei rimedi più efficaci
Le strade da percorrere sono principalmente due: una intende tassare la rendita, l’altra, più drastica, mira alla “pubblicizzazione dei suoli urbani”.
La prima proposta, quella della redistribuzione del reddito tramite prelievo fiscale, mostra però più di un punto debole. Il primo è che la tassazione di un reddito sottintende la legittimità dello stesso. Il secondo è che la tassazione riuscirebbe a restituire alla collettività solo una parte di ciò che le spetterebbe. Il sistema della tassazione sarebbe efficiente se il prelievo fiscale rappresentasse la maggior parte della rendita. Solo così sarebbe rincanalato il denaro speso dalla collettività. Sembrerebbe a questo punto più sensato estirpare il problema alla radice al posto di prelevare la quasi totalità della rendita attraverso un macchinoso apparato fiscale.
La proposta più drastica
Si arriva dunque alla seconda proposta, la più “drastica”. La prima parte di questo metodo si realizza con l’elaborazione di piani regolatori e con la selezione annuale delle aree da urbanizzare, a spese della collettività. Queste saranno espropriate a un prezzo il più vicino possibile a quello corrispondente all’uso agricolo. Successivamente sarà ceduto ai costruttori a prezzo bassissimo il solo diritto di superficie, restando così in mano alla collettività la proprietà del suolo. Il vantaggio principale di questo metodo è quello di annullare il problema alla radice non riconoscendo in alcun modo la rendita urbana. Campos Venuti ritiene che questa sia la strada migliore da percorrere.
Non solo Campos Venuti, ma anche altri autori e progettisti si sono espressi a proposito degli stessi argomenti, uno tra tutti Bernoulli.
ll pensiero di Hans Bernoulli
Bernoulli in “La città e il suolo urbano” tratta la rendita fondiaria e ne problematizza principalmente un aspetto. Secondo l’autore la possibilità di frammentare, privatizzare e quindi lucrare dal suolo attorno alle città nega a quest’ultime la possibilità di svilupparsi nel modo migliore. L’espansione della città è infatti bloccata dal “monopolio” imposto dai proprietari e dall’impossibilità di avere a disposizione una “tabula rasa” su cui agire liberamente.
Bernoulli propone svariati esempi a sostegno della sua tesi. Uno tra tutti è la città giardino di Howard. Nei pochi casi di realizzazione di città giardino (Hampstead, Unwin) infatti, la terra appartiene alla comunità. È stato possibile tracciare e strutturare con totale libertà le forme urbane ideali che potessero soddisfare le esigenze dei cittadini. Solo se la proprietà della terra sarà in mano ai comuni ci sarà quindi la possibilità di almeno provare a creare una città ideale.
La soluzione a cui giunge Bernoulli è in linea con quella proposta da Campos Venuti: utilizzare il diritto di superficie come strumento dell’urbanistica.
I comuni dovranno quindi impegnarsi a non vendere alcun terreno di proprietà. Dovranno acquistarne il più possibile e acconsentire che i privati facciano uso del terreno concedendo loro il diritto di superficie.