La strage infinita nelle celle
CITTÀ E CITTADINI LEGALITÀ

La strage infinita nelle celle

FRANCO MIRABELLI • Vicepresidente GRUPPO PD al Senato e componente Commissione Parlamentare Antimafia

Il tragico bollettino sulle carceri italiane oggi registra, da inizio anno, oltre 50 suicidi trai detenuti, 5 tra gli agenti di custodia, 14000 presenze oltre alla capienza. Purtroppo non siamo di fronte a una situazione eccezionale. La condizione di degrado delle carceri italiane sta diventando un dato permanente. Si aggrava di continuo a fronte dell’inerzia grave del governo. Non servono quindi misure emergenziali.

È evidente che il recente decreto Nordio sembra davvero colpevolmente inutile ad affrontare il dramma delle carceri italiane. Istituire il registro delle comunità in cui è  possibile scontare le pene per minori e tossicodipendenti, fissando in 6 mesi il termine per decidere come regolamentarlo la dice lunga su come non ci sia il senso dell’urgenza e della necessità di intervenire presto e concretamente. E certamente semplificare l’accesso agli sconti di pena a cui già i detenuti hanno diritto cambierà poco.

Servono altre misure. Soprattutto serve cambiare il punto di vista. Il carcere, come si era iniziato a fare con il ministro Orlando e la ministra Cartabia, deve essere considerato l’estrema ratio. Un sistema penale che mira alla rieducazione deve organizzare pene alternative, giustizia riparativa, messa alla prova. Non può e non deve considerare il carcere come unica soluzione su cui scaricare tutto. L’idea della pena non può essere una punizione da scontare soffrendo ma occasione di riabilitazione e riscatto.

Il carcere come soluzione ai problemi

Oggi sembra invece prevalere tra le forze di governo l’idea che il carcere sia la soluzione per molti problemi. Dai decreti sul rave party fino a quello su Caivano e al DL sulla sicurezza si è scelta questa via. Il risultato è stato aumentare il numero di minori negli istituti di pena facendoli esplodere e mettere in discussione un principio elementare di umanità. È quello che evita, se non in casi eccezionali, di mettere in carcere donne incinte o mamme con figli.

L’idea del carcere come unica soluzione insieme alla convinzione che la rieducazione e il reinserimento vengano dopo la priorità sicuritaria rendono impossibile affrontare il dramma delle prigioni italiane. Le due telefonate al mese in più, concesse dal decreto, non aiuteranno certo ad attenuare le sofferenze o le tensioni negli istituti di pena. Con questo governo, le persone sono state richiuse nelle celle per gran parte del tempo. Sta diventando più difficile, tra autorizzazioni e regole restrittive, fare attività aggregative e formative.

La valida strada delle misure alternative

Serve, invece del decreto Nordio, riprendere la strada che, costretti dal Covid, è stata imboccata. Ha funzionato. Ha ridotto significativamente la popolazione carceraria. Oggi può significare liberazione anticipata e detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena fino a due anni. Questo non vale per i reati di mafia e quelli più gravi. E ancora, servono provvedimenti che incentivino messa alla prova, pene alternative, giustizia riparativa. Ma se la priorità resta quella della detenzione come espiazione e sofferenza e il carcere come soluzione per affrontare i problemi sociali, come dimostra il decreto Nordio non si potrà andare oltre “i pannicelli caldi”. La situazione continuerà ad aggravarsi portandoci ben oltre ciò che è tollerabile in un Paese civile.