Natura del latino
a cura di GIANCARLO ROSSI
Le caratteristiche proprie del latino
Prima di entrare nel vivo della conversazione, vorrei definire meglio l’oggetto del contendere. Intanto possiamo dire che, come tutte le lingue, può essere esaminato da due punti di vista: quello strettamente linguistico e quello storico.
Una lingua flessiva
Il latino rientra nella famiglia delle cosiddette lingue flessive, come oggi il russo, il tedesco o il neoellenico, per esempio: vale a dire ha le declinazioni, come insegnano a scuola. In altri termini i nomi hanno una parte invariabile e una variabile. Alcuni di voi ricorderanno, vuoi per esperienza diretta, vuoi guardando i propri figli studiare, le tabelle con i casi: ros-a, ros-ae, rosae, rosa-am, ros-a, ros-a. I filologi definiscono la struttura delle lingue flessive “sintetica”. Che significa? Significa che in ogni vocabolo c’è “sintesi di valore lessicale e di valore relazionale”. Diciamola alla buona, con un’espressione meno astrusa. In ogni vocabolo distinguiamo due parti diverse, la cosiddetta radice della parola, invariabile, che ne rappresenta il significato e designa la cosa (ros), e la flessione o desinenza (-ae, -am, -a), che rappresenta il rapporto di quel vocabolo con gli altri del contesto.
Possiamo dunque affermare che il latino dal punto di vista della struttura, non ha nulla di speciale all’interno delle lingue flessive.
L’aspetto storico
Sotto l’aspetto storico invece la cose cambiano. Ab exiguis profecta initiis, come dice Tito Livio di Roma, partita da modeste origini – era un dialetto di pastori e briganti- in mille anni diventò lingua dell’impero romano, caduto il quale non s’estinse, come capitò alle lingue di altri millenari imperi, l’egiziano o il babilonese, ma cominciò a vivere una nuova vita. Abbandonò infatti la bocca dei parlanti nativi, smise cioè d’essere lingua materna appresa i primissimi anni di vita, per diventare strumento di comunicazione e di cultura per altri 1500 anni. Eppure certuni hanno il coraggio di chiamarla lingua morta!
La libertà delle parole in sequenza
Torniamo alla natura flessiva. Essa concede una libertà che le lingue senza declinazioni non hanno. Consente cioè di ordinare la sequenza delle parole nella frase in modo vario, senza che cambi il significato complessivo. Prendiamo una frase semplice: “il padre ama il figlio”. In quest’ordine si sa benissimo chi ama e chi è amato. Se dico invece: “il figlio ama il padre”, il rapporto fra amante e amato si rovescia: è il figlio il soggetto che ama, ed il padre l’oggetto d’amore. Quindi in italiano (e in tutte le lingue neolatine) l’ordine delle parole è importante per il senso della frase. In latino invece, possiamo dire “pater filium amat”, “filium amat pater”, “amat pater filium”, intendendo sempre che il padre ama il figlio. Per dirla in linguaggio matematico, mutando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia, a differenza dell’italiano, lingua nella quale il soggetto deve stare prima del verbo e l’oggetto dell’amore dopo.
Il testo latino non è ambiguo
Ma se l’ordine delle parole nella frase latina è variabile, ne segue che per comprendere un intero periodo dobbiamo leggerlo tutto, perché il significato non si dipana parola per parola, ma procede a salti, a blocchi di parole; dobbiamo infatti giungere alla fine della frase, dove per lo più si trova il verbo, per completare la comprensione del testo: è la difficoltà che tutti gli studenti sperimentano all’inizio, quando a scuola li abituano a tradurre parola per parola. Prendiamo i tre esempi sopra indicati. Se traduciamo alla lettera pater filium amat, “il padre il figlio ama”, non capiamo chi fa che cosa; similmente filium amat pater, tradotto parola per parola diventa “il figlio ama il padre”, e diremmo così il contrario di quello che dice il testo; infine “ama il padre il figlio” suona ambiguo, come il primo esempio. Ma il testo latino, quale che sia l’ordine delle parole, non è ambiguo, e significa sempre la stessa cosa.
Impariamo a sospendere il giudizio
Ma se ci abituiamo alla variabilità dell’ordine delle parole, impariamo una cosa importantissima. Impariamo cioè a sospendere il giudizio, a non contentarci dei primi indizi, dell’apparenza. Impariamo a saper attendere, prima d’avventare un’interpretazione, prima di giudicare frettolosamente. Ecco perché alcuni dicevano in passato che il latino insegna a pensare! In verità insegna a differire il giudizio, a raccogliere tutti gli indizi, come in un romanzo giallo, prima di scovare il colpevole, cioè il significato. Insegna così ad acuire le facoltà interpretative e critiche, frenando l’abitudine a “uprì bocca e daje fiato”, come si dice a Roma, e addestrandoci alla riflessione, virtù oggi tanto più necessaria, quanto più rara.
Vedremo nelle prossime pillole perché oggi la riflessione sia da considerarsi virtù.