NGEU, la trappola dello sviluppo
EUROPA

NGEU, la trappola dello sviluppo

GIACOMO D’ARRIGO E PIERO DAVID

Perché all’Unione Europea e all’Italia soprattutto serve che il Next Generation EU vada bene? Vi sono tanti motivi di tipo economico e prospettiva politica futura dell’UE rispetto alla governance istituzionale venuta fuori dal voto di giugno. Speriamo che questo dato consolidi e non metta in discussione il programma europeo più attivo del momento. Vi è un tema di “vantaggio funzionale” che è prioritario e che riguarda un profilo pratico, ma non secondario. Si tratta del futuro delle risorse economiche della nuova programmazione, con vantaggi o svantaggi che potremmo avere.

Sono passate le elezioni europee. A breve si aprirà il dibattito sulla futura Politica di Coesione per il ciclo di programmazione 2028-2035. Entro fine anno verranno indicate le nuove sfide politiche (geopolitiche, digitali, ambientali e demografiche). Nella primavera 2025 si pubblicheranno i primi documenti della Coesione post 2027.

Politica di coesione e Mezzogiorno

Il documento base del dibattito è rappresentato dalla Nona relazione sulla Coesione, presentata dalla Commissione Europea a metà aprile. Nel descrivere i risultati della Politica di Coesione in termini di convergenza economica e sociale nell’Unione, riporta anche i contributi di altri due documenti sul PNRR, la Revisione intermedia del dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF) e la Relazione finale del gruppo indipendente di esperti di alto livello sulla coesione. Indica aspetti positivi (soprattutto l’approccio basato sui risultati e l’impatto sul PIL reale) e quelli da migliorare (il coinvolgimento degli enti locali e regionali e del partenariato socio-economico e il rafforzamento della capacità amministrativa).

Conferma sostanzialmente che il futuro della politica di Coesione sarà condizionato dai risultati del NGEU. Tali indicazioni sono state confermante nelle Raccomandazioni specifiche dell’UE all’Italia (pubblicate il 19 giugno), che evidenziano la necessità anche le per le risorse della Coesione di passare dall’approccio cost-based (caratteristico dei Fondi Strutturali) a un approccio performance-based (introdotto dal PNRR) orientato ai risultati.

Gli effetti positivi nel lungo periodo

La Nona relazione sulla Coesione, in continuità con le precedenti, ha sottolineato gli effetti positivi nel lungo periodo dei fondi strutturali in termini di promozione della convergenza economica e sociale nell’Unione, soprattutto negli Stati dell’Europa orientale. La Politica di Coesione ha rappresentato quasi il 13% degli investimenti pubblici totali nell’UE. Il 51% negli Stati membri meno sviluppati ha ridotto il tasso di disoccupazione dal 15,8% del 2013 all’8% del 2022. Ha evidenziato anche che nel futuro bisogna concentrare l’attenzione sulle Regioni che, nonostante tre cicli di programmazione di fondi strutturali, dal 2000 al 2020, sono rimaste con un PIL pro capite inferiore al 75% della media UE-27.

Per l’Italia sono Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Sembrano cadute in una “trappola dello sviluppo”, con una situazione cioè di performance sotto la media di PIL, produttività e occupazione. Una definizione che ruota attorno all’incapacità strutturale delle Regioni di sviluppare nuove attività. La debolezza delle amministrazioni da un lato, e un mercato del lavoro sempre meno giovane e qualificato dall’altro, impediscono loro di dedicarsi ad attività nuove e più complesse che potrebbero aumentarne la prosperità.

Una crescita inferiore ai Paesi UE-27

Questa condizione era stata segnalata recentemente anche dall’ISTAT, in una indagine del 2023 su Politica di Coesione e Mezzogiorno. Dopo tre cicli di programmazione non si è avviato il processo di convergenza delle Regioni italiane classificate come “meno sviluppate”. Pressoché quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia, tranne l’Abruzzo ha continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’UE-27.

Sempre secondo la relazione della Commissione le caratteristiche delle Regioni che si trovano in una trappola dello sviluppo sono varie. Gli elementi comuni a questi territori sono le risorse amministrative più limitate e la mancanza di capitale umano qualificato. Le Regioni in ritardo di sviluppo presentano infatti una struttura amministrativa inadeguata. Non riescono a programmare e gestire gli interventi finanziati con la politica di coesione.

Spesso questi territori hanno uffici pieni di personale. Mancano però le competenze per attività complesse come la programmazione per lo sviluppo. Non hanno risorse economiche specifiche per selezionare nuovo personale qualificato. Inoltre, nel mercato del lavoro risultano insufficienti i giovani diplomati e laureati. Pochi investimenti nel territorio e limitata fiducia nelle prospettive di crescita, spingono giovani qualificati ad abbandonare i territori meno sviluppati. Si impoverisce ancora di più il loro capitale umano.

La cosiddetta “fuga di cervelli” verso le regioni più attrattive, nel tempo ha amplificato lo squilibrio territoriale. Ha accelerato il declino demografico. Anche l’ISTAT, nell’indagine citata, evidenziava come soprattutto invecchiamento e spopolamento, recenti tendenze demografiche in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, potrebbero contribuire ad ampliare il divario di reddito con il resto d’Europa. 

Come intervenire per invertire la rotta?

La Commissione, in questa prima riflessione sulla futura politica di coesione, confermata anche dalle ultime Raccomandazioni UE, propone di concentrarsi su due aspetti.

  1. costruire migliori istituzioni nazionali e regionali. Serve mettere il rafforzamento della capacità istituzionale e l’innovazione sullo stesso piano degli investimenti nelle infrastrutture. Bisogna selezionare personale qualificato per la Politica di Coesione);
  2. investire maggiormente nello sviluppo del capitale umano, anche attraendo e trattenendo persone con una istruzione terziaria.

Parlamento e Governo italiano negli ultimi anni sembrano non essersi posti questo problema. Il dibattito sulla riforma della Politica di Coesione avviato a inizio 2024 col D.L. 60/2024 è più concentrato su governance ed efficienza dei processi che sulle azioni per la rottura di un circolo vizioso che, senza soluzioni di continuità, rischia di vedere le regioni del Mezzogiorno protagoniste negative della politica di coesione anche nella programmazione 2028-2035, con il paradosso di avere ancora una volta tanti soldi, ma pochi risultati.

Sarebbe necessario anche in Italia, e non solo per la Politica di Coesione, passare da un approccio cost-based a un modello performance-based nella spesa delle risorse per lo sviluppo. Un motivo in più – tra gli altri – per fare in modo che il NGEU e il nostro PNRR funzionino. Servirà a dimostrare che la futura politica (e risorse) per lo sviluppo dell’Unione Europea hanno un format nuovo da mettere in campo in modo strutturale. All’Italia serve più di tutti.


Pubblicato su lavoce.info il 08.07.24