Norme scritte per occupare posti
MARCO LEONARDI
Nella legge di bilancio ci sono due norme che, a pensar male, fingono di ottenere risparmi. Nascondono la vera intenzione quella di occupare posti nella pubblica amministrazione e nel settore privato.
L’articolo 112 impone un rappresentante del MEF nel collegio dei sindaci delle aziende private che ottengono più di 100mila euro di contributi pubblici. Dovesse entrare in vigore questa norma, si prospetta una moltiplicazione di incarichi. Sarebbero per di più pagati dalle aziende stesse in sostituzione di un membro attuale dei collegi dei sindaci. In parallelo nel settore pubblico, l’articolo 111 dimezza il tetto delle retribuzioni degli organi amministrativi di vertice delle amministrazioni pubbliche e degli enti. Sono organismi e fondazioni che ricevono contributi pubblici sotto qualsiasi forma per più di 100mila euro. A voler pensar male, anche questa norma produrrà, non risparmi, ma la sostituzione di un numero di amministratori pubblici cui si dimezza lo stipendio, con altri amministratori.
Il dimezzamento delle retribuzioni non è per tutti
Il tetto delle retribuzioni si dimezza da 240mila euro lordi annui a 120mila. Si potrebbe obiettare che 240mila euro sono tanti. Eppure “est modus in rebus”, il dimezzamento dello stipendio è chiaramente una umiliazione per chi vi incorre. Sono esclusi dal dimezzamento dello stipendio le società a controllo pubblico, le agenzie fiscali, le autorità indipendenti, gli enti pubblici economici, i ministeri, l’Inps, l’Inail, Istat, i comuni, le regioni, gli organi costituzionali e gli enti del servizio sanitario nazionale.
Escluse queste, i destinatari del taglio sono individuati dalla famosa lista ISTAT del settore pubblico S13. Ne ha parlato recentemente Cassese. Definisce, anno per anno, quali società e enti rientrano nel perimetro del debito pubblico. Ed è anche quella che attira mille ricorsi. Nessun ente o società vuole farne parte, figurarsi d’ora in avanti che chi ci rientra rischia il dimezzamento dello stipendio.
Il tetto agli stipendi esisteva già da tempo
Il tetto agli stipendi dei pubblici dipendenti fu fissato dal governo Monti prima e Renzi poi nel 2015 a 240mila euro annui. Ai tempi suscitò notevoli proteste. Tutt’oggi il ministro Zangrillo aveva l’intenzione di eliminare il tetto. Il trade off è sempre quello. Se non li paghi come nel settore privato, non avrai nel settore pubblico degli amministratori all’altezza di gestire bilanci da miliardi di euro come sono quelli dei ministeri, delle regioni o di tanti enti pubblici. Due anni fa il governo Draghi sventò l’assalto della solita “manina”. Con un emendamento a un decreto si voleva esentare dal tetto di 240mila euro i vertici delle Forze armate e dei ministeri.
Ecco, invece di dimezzare i compensi di alcuni ma non di tutti. Bisognerebbe evitare che molti sfuggano al tetto dei 240mila euro. Il tetto infatti si estende anche ai manager delle società pubbliche con due eccezioni. Sono le società quotate in Borsa e quelle che, pur non essendo quotate, avevano emesso obbligazioni. Per sfuggire alla sforbiciata, quasi tutte le società pubbliche iniziarono a emettere questi bond. Lo hanno fatto da Ferrovie, alla Cdp, fino alla Rai. Per questo, già oggi il tetto di 240mila euro si applica ad alcuni ma non a tutti gli enti e società pubbliche.
Sono esternalizzate le funzioni core
D’ora in poi, in un settore pubblico allargato di difficile definizione come dice giustamente Banca d’Italia nella sua audizione, alcuni non avranno nessun tetto. Alcuni lo avranno a 240mila euro, altri a 120mila euro. Questa gestione della macchina pubblica, insieme a ritorno parziale del blocco del turnover, provocherà altri due fenomeni. Il primo riguarda la crescente esternalizzazione dei servizi propri della PA alle grandi società di consulenza. Già oggi è frequente in molte amministrazioni che alcune funzioni core, siano integralmente esternalizzate a società private. Accade per esempio per la gestione dei programmi europei.
In alcuni casi straordinari, come nella gestione di progetti specifici del PNRR o per la valutazione di piani industriali di grande partecipate pubbliche, è assolutamente razionale far riferimento alle società di consulenza private. Dispongono di personale più flessibile e competenze specifiche. Ma è opportuno che le amministrazioni pubbliche esternalizzino integralmente – dalla parte decisionale fino al rendiconto – delle loro funzioni centrali e permanenti a delle società private? Questo succederà sempre più spesso se invece di rafforzare le competenze interne delle amministrazioni pubbliche, le si tagliano.
Del resto questo governo ha utilizzato le deroghe concesse dal PNRR. Ha incrementato di molto le assunzioni temporanee di dirigenti e funzionari esterni ai ranghi della pubblica amministrazione. Quando verranno a termine i loro contratti triennali, o si depaupera la pubblica amministrazione di quelle competenze o si stabilizzano le persone. Spesso sono entrate in virtù di rapporti personali con esponenti di governo. Per questo dico che alcune norme non sembrano scritte per risparmiare, ma per occupare posti.
Pubblicato su Il Foglio il 06.11.24