Nuove norme nuove ingiustizie
MARCO LEONARDI – LEONZIO RIZZO
La tassazione delle imprese agricole ha sempre ricevuto un trattamento di favore. Ai fini IRPEF per gli agricoltori la base imponibile non è determinata dal reddito effettivamente conseguito nell’anno di riferimento, ma dai redditi dominicali e agrari definiti con il sistema delle rendite catastali.
Notoriamente le tabelle che definiscono questi redditi sono fortemente datate e quindi danno luogo a livelli di basi imponibili basse. Tanto è vero che la base imponibile del settore agricolo risulta pari a circa il 10% del margine operativo lordo calcolato dall’ISTAT. Il gettito è molto più basso di quello che si otterrebbe se il comparto agricolo fosse tassato come tutti gli altri. Si può mostrare che il costo per lo stato di questo trattamento di favore si aggira attorno ai 3,5 miliardi. Pace, è così da anni. Ogni paese concede dei benefici a categorie particolari, ma ora si vogliono addirittura estendere quei benefici.
La definizione di attività agricola
Nel decreto-legge per il riordino delle imposte dirette approvato in Consiglio dei ministri la settimana scorsa, all’articolo 1 campeggia una norma che estende la possibilità di fruire di una tassazione forfettaria alle attività connesse (la trasformazione, la commercializzazione etc.), ma eccedenti il limite che le farebbe rientrare nella definizione di attività agricola.
A oggi la legge limita la tassazione forfettaria al solo imprenditore agricolo individuale, determinando l’imponibile con una forchetta tra il 5% e il 25% del valore delle vendite. Il decreto estende questa possibilità anche alle società di persone, società a responsabilità limitata e società cooperative, che rivestono la qualifica di società agricola. Prima per questi soggetti le attività connesse eccedenti erano tassate come il reddito di una qualunque altra impresa.
Le cosiddette coltivazioni verticali
Tra le modifiche c’è la possibilità di tassare in base al reddito agrario le società agricole che effettuano le cosiddette coltivazioni verticali. Una modalità di coltivazione innovativa e sicuramente meritevole. È anche particolarmente redditizia. Nell’ultimo anno gli investimenti, in genere quelli di grandi gruppi, nel mondo sono cresciuti del 21% (2,85 miliardi). In Italia sono cresciuti del 95% (110 milioni). Si coltiva su aree industriali adibendo edifici a più piani a coltivazioni con sistemi molto sofisticati.
Si tratta di un settore di fatto appannaggio di importanti entità societarie, fondi di private equity e venture capital. Sono in genere società che fatturano centinaia di milioni di euro. Secondo le novità del decreto, questi gruppi potrebbero svolgere la loro attività tramite società agrarie. Potrebbero pagare parte delle loro imposte in base al reddito agrario o catastale e parte di ciò che non può rientrare in quest’ultimo (attività connesse eccedenti) con una estremamente favorevole tassazione forfettaria su una base imponibile pari al 25% del valore delle vendite.
Il governo e le risorse alle società agricole
Tutto ciò è avvenuto dopo che il governo, in seguito alle proteste degli agricoltori ha dovuto parzialmente rinnovare l’esenzione Irpef che aveva detto di voler cancellare. L’esenzione totale ora vige per coloro i quali hanno un reddito imponibile, calcolato sulla base dei redditi dominicali e agrari, inferiore a 10.000 euro. L’Irpef viene di fatto pagata da non più del 10% dei soggetti potenzialmente interessati. Non contenti, gli agricoltori sono riusciti a ottenere indietro con gli interessi ciò (poco) che era rimasto ancora da pagare.
Le associazioni di categoria fanno il loro lavoro di lobbying. Ci si domanda come mai il governo non abbia trovato 100 milioni per detassare le tredicesime per i lavoratori dipendenti. È stato costretto rinviare tutto al 2025, ma ha trovato in febbraio 220 milioni per consentire la parziale esenzione dall’Irpef. Ora riesca a trovare le risorse (quante?) per garantire alle società agricole una tassazione di favore su attività a volte molto poco agricole.
Le asimmetrie del sistema fiscale italiano
Il sistema fiscale italiano è già assolutamente asimmetrico e questo ultimo tassello rischia di produrre un’ulteriore ingiustizia. L’agricoltura produce un valore aggiunto pari all’1,3% del totale. Versa nelle casse dello stato lo 0,24% del totale di irap, ires ed irpef. Tra i lavoratori dipendenti più del 63% di tutta l’irpef è concentrato su soltanto 5,8 milioni di lavoratori. Questi dichiarano più di 35000 euro l’anno. È tollerabile un sistema fiscale che si ostina a favorire delle nicchie e penalizzare in pochi soliti sfortunati?
Ormai abbiamo imboccato la strada verso un sistema arlecchino che viola palesemente il principio di equità orizzontale. Soggetti che guadagnano lo stesso ammontare di reddito devono essere trattati in modo uguale a prescindere dalla natura dei loro redditi.
In un decreto parallelo ad hoc il governo ha fatto un altro favore all’agricoltura sui pannelli solari. Quella norma era già stata proposta dalle associazioni di categoria e rifiutata da diversi governi in precedenza. Questa volta ci auguriamo che il governo sia costretto a tornare indietro. Un governo deve fare composizione di interessi non l’interesse dei suoi elettori soltanto.
Pubblicato su Il Foglio il 09.05.2024