POESIE

a cura di MADDALENA CAPALBI

Ha al suo attivo molte pubblicazioni, tra queste: Fluttuazioni (LietoColle, 2005) Olio (LietoColle, 2007) Sapevo (Pulcinoelefante, 2008) Nessuno sa quando il lupo sbrana (La Vita Felice, 2011) Testa rasata (Moretti&Vitali, 2015).
Alcune pubblicazioni in dialetto romanesco Arivojo tutto (LietoColle, 2009) Ribbelle (Il Verri, 2018) ‘Er core de noantri (Ovevieweditore, 2021)
Nel 2015 è stata insignita dal Comune di Milano con l’Ambrogino d’oro per la sua opera di volontariato.


Agosto
Fedrico Garcia Lorca

Controluce a un tramonto
Di pesca e zucchero.
E il sole all’interno del vespro,
come il nocciolo di un frutto.
La pannocchia serba intatto
Il suo riso giallo duro.
Agosto.
I bambini mangiano
Pane scuro e saporita luna.


STRALCI DA Devo restare nel sud
Lino Angiuli 

Io e il sudore di mio padre
siamo nati al sud
figlio dell’arsura e di un ulivo
il nostro amore di cavalli selvaggi
la nostra cantilena
sanno di fuoco e di argilla
come questa terra che non può dormire
per averci venduto alla febbre del sole

povero sud (voce del verbo sudare)
così stanco di sudare pregare aspettare
così stanco di essere sud

(…)

Ma ogni sud che compra e paga la speranza
che importa se il sole si alza
dietro la pena di un ficodindia spellato
per affrontare tra i lunghi pensieri
tristi dell’ulivo
che importa se l’albero
ancora si piega a pensare la pioggia
porgendosi verso ombre e sogni di rugiada

Devo restarmene qui
a costo d’essere cicala inchiodata al tronco
che asciuga cantando la sua morte
al sole.


* * *
Rabindranath Tagore

“Vita della mia vita,
sempre cercherò di conservare
puro il mio corpo,
sapendo che la tua carezza vivente
mi sfiora tutte le membra.

Sempre cercherò di allontanare
ogni falsità dai miei pensieri,
sapendo che tu sei la verità
che nella mente
mi ha acceso la luce della ragione.

Sempre cercherò di scacciare
ogni malvagità dal mio cuore,
e farvi fiorire l’amore,
sapendo che hai la tua dimora
nel più profondo del cuore.

E sempre cercherò nelle mie azioni
di rivelare te,
sapendo che è il tuo potere
che mi dà la forza di agire.


Da Medicamenta e altri medicamenta
Patrizia Valduga

Donna bambina ma di troppe brame
o donna di dolori e di buriane,
sempre presa da trippe e budellame,
non so uscire dal buio stamane,

dal cavo della mia notte catrame,
tra geli duri e colpi di caldane,
e sollevarmi e via con voglie grame
fingendo quieti, cose lievi e piane,
per i giorni di guerra e bulicame
e per predar le prede piene e vane,
e a vedere come senza esche o trame
poco lega l’amoroso legame…
Oh cuore che mi caschi! Che rimane?
un annientato niente. E ho anche fame.


da Magari martedì
Ginevra Lilli

Prima la mia vergogna
e dopo il mio viso.
Prima la mia paura
e dopo i miei occhi.
Prima la mia fame
e dopo la mia bocca.
Prima il mio bisogno d’amore
e dopo il mio cuore.
È così che cammino verso te
come un gambero.


Arrivederci fratello mare
Nazim Hikmet

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.

Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.


L’uomo e il mare
Charles Baudelaire

Sempre il mare, uomo libero, amerai!
perché il mare è il tuo specchio; tu contempli
nell’infinito svolgersi dell’onda
l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito
non meno amaro. Godi nel tuffarti
in seno alla tua immagine; l’abbracci
con gli occhi e con le braccia, e a volte il cuore
si distrae dal tuo suono al suon di questo
selvaggio ed indomabile lamento.
Discreti e tenebrosi ambedue siete:
uomo, nessuno ha mai sondato il fondo
dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,
mare, le tue intime ricchezze,
tanto gelosi siete d’ogni vostro
segreto. Ma da secoli infiniti
senza rimorso né pietà lottate
fra voi, talmente grande è il vostro amore
per la strage e la morte, o lottatori
eterni, implacabili fratelli!


* * *
Dario Villa

Mi ha svegliato, nel cuore
del pomeriggio,
una magica glissa del cariglione
del tv del vicino.

Per un’ora ho fantasticato
sul mondo.

Mi lascio vivere,
dismemoro rammemoro, non so
più in che meravigliosi luoghi ieri
ho lasciato il mio seme.

* * *

greve come un leopardo nella notte,
strana come un varano nella frutta,
enigmatica come un’autobotte,
limpida come un’ampolla distrutta;

ridotta alle dimensioni di un filo,
dilatata, afflitta, defilata,
diretta verso le foci del nilo,
espulsa scoria, espunta, obnubilata;

giardiniera d’interni, inaridita,
che pota il secco liquore dei rami,
agile maga d’aghi che, scucita,
satura il rotto tessuto in ricami;

eretta come pilastri di guano,
ghiaccio vertiginoso sciolto in canto,
muta così, bella come la mano
di un suicida che non getta il guanto


I pazzi ridono di notte
Michela Zanardella

Intorno a me follie bellissime
rovesciano la mente
e mi schiantano nel buio
ad imparare l’assurdo.
I pazzi ridono di notte
e non importa il gioco di una rima
o la croce di un mondo 
che condanna.
Più ridono del rumore 
del loro orizzonte,
mentre abbracciano ghiaccio
e confuse lacrime,
più intrecciano libertà 
ad alberi e saggezza.
Pure il mio spirito
è gola e bocca
per carestie di ragione.
Noi, maledetti nel sangue
e nel midollo,
sappiamo rotolare tra gli abissi
e ritardare il grido della morte,
stringendo tra i denti altri cieli.


* * *
Thierry Metz

Non eri venuto per tanta chiarità
tu nomade del respiro

portato dallo strumento alla deriva
sotto il soffitto del perché
andavi da un giorno all’altro
per appianare la sete
rischiarla a monte del libro
all’altezza del fogliame
e solo – con il lampo –
per sopravanzare l’oracolo.

* * *

Dov’è il fratello alchemico
uomo della prima
dell’ultima cena
dalla voce scarlatta, lieto
nell’avvampare delle mani
sulla tavola inventata
il volto in fiamme
come un’alba
come acqua
che si ritira meravigliata
come una notte
che si consuma
in oscura creta
il volto
come un uccello semplificato


Viatico”
Clemente Rebora

O ferito in fondo alla piccola valle,
avrai chiesto aiuto con molta insistenza
se tre compagni di guerra integri
morire per te che quasi più non eri vivo. 
Tra melma e sangue
come un albero abbattuto
e il tuo lamento straziante continuava,
senza pietà per noi rimasti in vita
a contorcerci perché non vedevamo l’ora che finisse,
velocizza la tua morte,
tu solo puoi mettere fine a questa sofferenza,
e ti sia di conforto
nelle tue condizioni di demenza ma ancora cosciente
in questo momento di attesa della morte
l’intorpidimento della sensibilità,
ma ora devi attendere quel momento in silenzio –
grazie, fratello. 


Forse il cuore
Salvatore Quasimodo

Sprofonderà l’odore acre dei tigli
nella notte di pioggia. Sarà vano
il tempo della gioia, la sua furia,
… quel suo morso di fulmine che schianta.
Rimane appena aperta l’indolenza,
il ricordo d’un gesto, d’una sillaba,
ma come d’un volo lento d’uccelli
fra vapori di nebbia. E ancora attendi,
non so che cosa, mia sperduta: forse
un’ora che decida, che richiami
il principio o la fine: uguale sorte,
ormai. Qui nero il fumo degli incendi
secca ancora la gola. Se lo puoi,
dimentica quel sapore di zolfo
e la paura. Le parole ci stancano,
risalgono da un’acqua lapidata;
forse il cuore ci resta, forse il cuore …


Il poeta chiede al suo amore di scrivergli
Federico Garcia Lorca

Amor delle mie viscere, viva morte,
invano aspetto tue parole scritte
e penso, con il fiore che appassisce,
che se vivo senza di me voglio perderti.

Il vento è immortale. La pietra inerte
non conosce l’ombra né la vita.
Cuore interiore non ha bisogno
del miele gelato che la luna versa.

Ma ti ho sopportato. Tagliai le mie vene,
tigre e colomba sulla mia cintura
in un duello di morsi e di gigli.

Calma, dunque, con parole la mia follia
o lasciami vivere nella mia serena
notte dell’anima ormai per sempre oscura.


TREGUA
Nino Iacovella

Cessata la battaglia ognuno spala
sul proprio versante dei sopravvissuti
Il percorso della carne pulsa ancora
di sangue e sudore

Apre uno strato di gemiti e volti
aggrappati alla stessa supplica

E già un nodo riprende alla gola
fa mancare fiato alle braccia

Il tempo di trovare una lama
che scavi tra le facce
e separi le voci

Appoggiati a un tempo che frana
scaviamo terra di fiori sfibrati

Dal lato debole delle radici
vi è sempre un lascito di petali e polvere

Così i corpi dei caduti
quando il cumulo dello scempio
non trattiene più il suo sangue

Solo le nuvole valicano 
lo sfondo delle rovine

La linea del tramonto ceduta
spezzata dai muri delle case

________
La Linea Gustav
Sez. Una terra come carne
Libreria Editrice IL LEGGIO


The prestige
Davide Avolio

Ti chiesi d’amarmi
non con parole, gesti
fiori o promesse
io ti chiedevo d’amarmi
in silenzio, privatamente
chiedevo anche solo
un’illusione
per lenirmi il cuore
e sguazzare in un vivere
leggero, un posto dove
tu sei meno vera
e sai quindi
amarmi di più.


Fosse poesia
FABRIZIO BREGOLI

Fosse poesia potrei indugiare
su qualche vezzo cromatico, un radere
di luce tra capelli e volto, indulgere
a un virtuosismo lirico, un pacato
trasgredire metrico, i trucchi buoni
che lusingano in una lana di fiato
stemperano la voce che s’aggruma.

Ma questa scena è minima, assoluta
non si concede appello, assoluzione.
Lui siede agli scalini, tra i piccioni
le gambe lacerate dalle piaghe
intruso tra quei cenci, qui recluso
in un rettangolo di cicche, di sputi
lo sguardo arrovesciato su detriti
di storie, ciò che ne resta tra le unghie
sudice, un bicchiere, stente monete.
Chiede nuda evidenza del suo esserci.

E non serve una poesia, un altro alibi.

________
da ZERO AL QUOTO


FIORE DIRUPO
FABIO PUSTERLA

Sarà stato un mattino, uno solo: qualcosa
come una luce inattesa irradiante
dietro o sotto le nuvole, un rosa disteso
lì fermo davanti al tuo giorno, magari difficile, cupo.
L’audacia dello sguardo: questo ti fu rivelato.
E dopo: essere fedele o tradire
quell’ipotesi di luce. Tutto 
sommato non molto di più. 
Fa’ i tuoi conti, respira o distogli
lo sguardo da ciò che ferisce, richiama e ti scruta.
Il tuo mucchietto di lucciole, il tuo mucchietto di cenere.
Pesali. Fiore e dirupo.

________
Argéman, 2011


IL PANNO
MARCO BELLINI

Il rumore della ghiaia traccia la mattina;
è un rituale al posto della colazione
le due tazzine composte
si stava vicini.

L’annaffiatoio appoggiato alla colonna dell’acqua
la scopa per i petali caduti sono gli accessori
con cui prepari l’appuntamento.
Il loculo è in alto (l’unico disponibile)

la fila verticale e poi l’estensione orizzontale
questo muro impastato d’ossa dove le preghiere
tengono su il cemento.
Arrivi davanti, alzi lo sguardo.

Non pensavi che alla morte
si dovesse trovare un posto
e che ne occupasse tanto;
era più una questione di scomparsa.

Avvicini la scala, sali, pensi che sia
d’aiuto prendere confidenza, prepararsi.
Bisbigli della casa, del giardino
che ha messo i fiori, il cane che aspetta.

Oggi fare l’amore è strofinare un panno
sulle lettere del suo nome, la fotografia;
picchiettare piano con l’unghia
sul marmo, magari sente.

I vostri corpi
hanno già parlato lasciato della carne.
I figli ogni tanto passano e tu
non ti decidi a scendere. 

________
La Complicità del Plurale (ed. LietoColle)


Roberto Molinari
GUERRA

Questo è un tempo
nudo e singhiozzante
come lo sguardo 
triste di un albero
rimasto in piedi
tra case diroccate

sacchi di sabbia
ronde notturne
finestre e muri
senza destinazioni
lontano verso ovest
una fuga che illude

scoppi senza senso
fumo rumori e polvere
poi cupi silenzi
noi mucchi di parole
infilzate come fossero
perle di una collana

cerchiamo invano
un senso di pensieri
persi nella valle scura
della nostra indecenza
chiediamo scusa per 
involontarie complicità

SOGNO

Una lunga storia
corre dalla finestra
fino al letto sfratto
come i miei pensieri
che cercano le parole
per cogliere il non detto

nel mio sogno
nuda e bianca
eri davvero bella
poi la luce
appiccicosa e smorta

nell’aria i segni
di un difficile
notturno volo

si richiudono gli occhi
cercando inutilmente 
di ricucire il sogno.

GAZA

Gli avvoltoi si alzano
in volo corrono
da nord a sud
da sud a nord

le storie sepolte
nelle fosse comuni
non impediscono
alla morte bambina

di giocare
con il fosforo bianco
ma solo bugie
e insanguinati rancori

riposa in pace fratello
nessuno ti chiederà scusa
perché tutti negheranno
di avere un dio sbagliato

da noi è caduta la neve
la macchina slitta
la cattedrale è deserta
per oggi niente shopping.
________
Roberto Molinari nato in Eritrea nel 1941 è mancato nel febbraio 2023.
Attivo nel sindacato e nel sociale.


Dacia Maraini
DONNE MIE

Donne mie illudenti e illuse che frequentate le università liberali,
imparate latino, greco, storia, matematica, filosofia;
nessuno però vi insegna ad essere orgogliose, sicure, feroci, impavide.
A che vi serve la storia se vi insegna che il soggetto
unto e bisunto dall’olio di Dio è l’uomo
e la donna è l’oggetto passivo di tutti
i tempi? A che vi serve il latino e il greco
se poi piantate tutto in asso per andare
a servire quell’unico marito adorato
che ha bisogno di voi come di una mamma?
Donne mie impaurite di apparire poco
femminili, subendo le minacce ricattatorie
dei vostri uomini, donne che rifuggite
da ogni rivendicazione per fiacchezza
di cuore e stoltezza ereditaria e bontà
candida e onesta. Preferirei morire
piuttosto che chiedere a voce alta i vostri
diritti calpestati mille volte sotto le scarpe.
Donne mie che siete pigre, angosciate, impaurite,
sappiate che se volete diventare persone
e non oggetti, dovete fare subito una guerra
dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini, ma
contro voi stesse che vi cavate gli occhi
con le dita per non vedere le ingiustizie
che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi
vi considera delle nemiche, delle rivali,
degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria
tutti i giorni senza neanche saperlo,
contro chi vi tradisce senza volerlo,
contro l’idolo donna che vi guarda seducente
da una cornice di rose sfatte ogni mattina
e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,
scintillanti di collane, ma prive di braccia,
di gambe, di bocca, di cuore, possedendo per bagaglio
solo un amore teso, lungo, abbacinato e doveroso
(il dovere di amare ti fa odiare l’amore, lo so)
un amore senza scelte, istintivo e brutale.
Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire
donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà
di intenti, libere infine di essere noi
intere, forti, sicure, donne senza paura


Gezim Hajdari
* * *

A lungo ho atteso questo giorno
davanti alle rose e ai miei coltelli
come l’assassino la vittima
o come il rogo l’eretico
per mostrarvi questi versi
li ho incisi sulle rovine di amori
fecondati con l’ombra fertile
partorita dalla luce femminile
in un Tempo atroce
ho temuto a lungo questa notte
come la vergine sposa
o come i papaveri del campo che
aspettano l’alba
dove finisce il tuo corpo?
e dove inizia la mia follia?


Bertold Brecht
POESIE contro la guerra

Generale, il tuo carro armato
è una macchina potente
Spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.

Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.

Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.

* *

Sono di essenza diversa.
La loro pace e la loro guerra
son come vento e tempesta.
La guerra cresce dalla loro pace
come il figlio dalla madre.
Ha in faccia
i suoi lineamenti orridi.
La loro guerra uccide
quel che alla loro pace
è sopravvissuto.

Quelli che stanno in alto
si sono riuniti in una stanza.
Uomo della strada
lascia ogni speranza.
I governi
firmano patti di non aggressione.
Uomo qualsiasi,
firma il tuo testamento.


Jaques Prévert
Barbara 

Ricordati Barbara
Pioveva senza tregua quel giorno su Brest
E tu camminavi sorridente
Raggiante rapita grondante, sotto la pioggia
Ricordati Barbara
Pioveva senza tregua su Brest
E t’ho incontrata in rue de Siam 
E tu sorridevi, e sorridevo anche io 
Ricordati Barbara 
Tu che io non conoscevo 
Tu che non mi conoscevi 
Ricordati, ricordati comunque di quel giorno 
Non dimenticare 
Un uomo si riparava sotto un portico 
E ha gridato il tuo nome 
Barbara 
E tu sei corsa incontro a lui sotto la pioggia 
Grondante rapita raggiante 
Gettandoti tra le sue braccia 
Ricordati di questo Barbara 
E non volermene se ti do del tu 
Io do del tu a tutti quelli che amo 
Anche se non li ho visti che una sola volta 
Io do del tu a tutti quelli che si amano 
Anche se non li conosco 
Ricordati Barbara, non dimenticare 
Questa pioggia buona e felice 
Sul tuo viso felice 
Su questa città felice 
Questa pioggia sul mare, sull’arsenale 
Sul battello d’ Ouessant 
Oh barbara, che cazzata la guerra 
E cosa sei diventata adesso 
Sotto questa pioggia di ferro 
Di fuoco acciaio e sangue 
E lui che ti stringeva fra le braccia 
Amorosamente 
È forse morto disperso o invece vive ancora 
Oh Barbara 
Piove senza tregua su Brest 
Come pioveva prima 
Ma non è più cosi e tutto si è guastato 
È una pioggia di morte desolata e crudele 
Non è nemmeno più bufera 
Di ferro acciaio sangue 
Ma solamente nuvole 
Che schiattano come cani 
Come cani che spariscono 
Seguendo la corrente su Brest 
E scappano lontano a imputridire 
Lontano lontano da Brest
Dove non c’è più niente


Gianni Rodari
Promemoria

Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola,
a mezzogiorno.
Ci sono cose da far di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio, la guerra.


Giuseppe Ungaretti
San Martino del Carso

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato.


Salvatore Quasimodo
Uomo del mio tempo 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
-t’ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero,
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
“Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.


Milo De Angelis
* *

Tu dov’eri? Ti aspettavo
in uno stupore giovanile.
Il canto inseguiva la tua gola,
il tuo assoluto andirivieni.
Un sasso precipita
su tutti gli dei del sorriso, su tutti i versi
che uno chiama nulla
se scompari.
Dov’eri? Io ero lì, ero
nel cortile che fu tutto. Ero lì, inchiodato
a un esistere sparito.

Vanno
le fughe dei ragazzi verso un luogo
bianco e feroce.


Walt Whitman
O capitano mio capitano

O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
La nave ha superato ogni ostacolo, l’ambito premio è conquistato,
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
occhi seguono l’invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;

Ma o cuore! Cuore! Cuore!
O gocce rosse di sangue,
là sul ponte dove giace il Capitano,
caduto, gelido, morto.

O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
risorgi per te è issata la bandiera per te squillano le trombe,
per te fiori e ghirlande ornate di nastri per te le coste affollate,
te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;

Ecco Capitano! O amato padre!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È solo un sogno che sul ponte
sei caduto, gelido, morto.

Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili
non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,
la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;

Esultate coste, suonate campane!
Mentre io con funebre passo
percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
caduto, gelido, morto.

_
Poesia scritta dopo la morte del presidente statunitense Abraham Lincoln, avvenuta il 15.4.1865. 


Pier Paolo Pasolini 
Gli italiani   

L’intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai

da uno dei milioni d’anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,

di questo popolo oramai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.

Mostrare la mia faccia, la mia magrezza
alzare la mia sola puerile voce
non ha più senso: la viltà avvezza

a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.


Mariangela Gualtieri
* *

Amore mio,
è difficile da questo fondo, da questo finale,
dire come mi manchi, come immenso tu sei nel mancare,
adesso che mi sono persa fra masse dure, fra cinghie di buio pesto,
senza divinità, senza la tua mano che tutto sorregge.
Tu mi credi più forte, mi pensi in oro e argento, ma guarda l’orma che lascio,
come di cagna, di passero stanco, di bruco, di mosca.
Non vedi come mi spengo se non mi ami? Mi secco come una pianta.
Amami ancora un poco, con cura, con tempo, con attesa. Amami come amano i forti spiriti,
senza pretesa, con fuoco generoso, con festa, senza ragionamento.
E scusa questo mio domandare ciò che si deve dare,
questo avere bisogno, scusalo. Non è degno del patto che lega la rondine al suo volo,
la rosa al suo profumo, il vino al suo colore, il tuo cuore al mio cuore.


Piero Buscemi
Le ombre del mare

Aspetterò che lo scoglio infuocato
Mi spacchi la pelle, 
Accaldata dall’arrivo di una nuova estate. 
Poi, mi lascerò cadere 
In un umido ritorno al passato. 
Adagerò il mio corpo, fino in fondo, 
A toccare con la punta delle dita 
La morbidezza della posidonia invitante. 
E se nell’aprire gli occhi, 
Volgendo lo sguardo in alto, 
Verso l’umanità che ha venduto 
Frammenti di cielo in cambio 
Di gocce di ambizione, 
Mi sentissi un altro 
Insensibile controllato, 
Potrei anche decidere 
Di non risalire più


Gabriela Fantato
Madre e figlia

Erano i giorni che non si tenevano,
con dentro ficcata
l’idea di sua madre,
la discrepanza elementare,
le bugie belle per sopravvivere
e ferirsi, l’un l’altra
ma dolcemente e di lato, 
un taglio sottile e profondo,
senza la gomma buona
                               per cancellare
e riprovarci in bella calligrafia.

Questa la verità, altro non c’è 
da raccontare.

_
da Terra Magra ed. Il Convivio Editore


Raffaele Floris
Fuori dal tempo

Il giorno è così terso che neppure
tu riusciresti a immaginarlo. Il cielo
irrompe nei cortili e ti ripaga
della calura. Il legno delle stanze
è un po’ fuori dal tempo e si consuma
piano, l’estate ha messo la sordina.
Sembra lontano il ciglio dell’autunno.
E invece no. Sei tu che sei lontana.

_
da Senza margini d’azzurro ed. Puntoacapo


Anna Maria Carpi
* * *

Io non mi lascio andare,
e sempre quella è la mia domanda:
dimmi, che devo fare?
Ma tu sul fare sei vago,
lo so non è il tuo campo,
fare si fanno le cose di tutti:
«Faccia l’amore,
faccia le sue cose,
veda gente, si svaghi»
e torni alla sostanza.

Nel metrò che rigurgita, al ritorno,
come un biglietto usato
butto via la ricetta,
ché nulla mi sgomenta
più di questo richiamo al mio sesso e all’umano.

_
da L’aria è una Editore Einaudi


Francesca Micacchi
Soffio d’amore

Sento spasmi nel grembo,
agitata vita del tuo seme.

La mano lievemente s’appoggia,
una carezza a sostegno, un pensiero per te.

Fra i tuoi capelli disciolti nodi ora scivolano
fra dita febbrili e vibranti si spiegano.

Ora è vuota, ora è piena, come luna al cielo
d’improvviso un soffio di vento gonfia la vela.

Ignare fluttuano tenere, le viscere materne
sospese nell’illusione di fiaba evocata.

È tuo, il respiro che ho dentro,
è mio l’amore che gli ho messo accanto.

Il resto è tutto nei sogni e fra le stelle…
_
da L’emotivazione – Aletti editore


Agota Kristof
Qualcuno se ne va …

Lo guardai, e dietro di lui vidi la montagna
E le guglie delle cime nel cielo.
Si mise in cammino stupito.
Come esili gatti randagi dagli occhi verdi
Così scivolava sul prato sbiadito,
Scoppiai a ridere contrita.

Ma profumo d’autunno piangevano amaramente
Nel vento della corsa dorata,
E vecchi alberi afflitti
Lo seguirono a lungo con lo sguardo, e pacati
Avvisarono i loro piccoli cespugli:
Spogliatevi, arriva l’inverno.
_
da Chiodi ed. Casagrande. trad. di Vera Gheno e Fabio Pusterla


Gianfranco Isetta
L’AMORE È UN SUONO

L’amore è impertinente
vuole accedere ovunque
senza usare le chiavi
o corpi contundenti.
Assume forma quando 
spezza quel filo d’erba 
breve di notti lievi.
E gli occhi appena schiusi
accertano il disagio
in quel gioco sottile.
Compare a capo chino
col cuore nei capelli
solo per invocare
quando sa di morire.
L’amore è un suono acre e
dolce che si dissolve
non è nelle parole 
_
3 luglio 2023


Eugenio Montale
LA DANZATRICE STANCA

Torna a fiorir la rosa
che pur dianzi languia…

Dianzi? Vuol dire dapprima, poco fa.
E quando mai può dirsi per stagioni
che s’incastrano l’una nell’altra, amorfe?
Ma si parla della rifioritura
d’una convalescente, di una guancia
meno pallente ove non sia muffito
l’aggettivo, del più vivido accendersi
dell’occhio, anzi del guardo.
È questo il solo fiore che rimane
con qualche merto d’un tuo Dulcamara.
A te bastano i piedi sulla bilancia
per misurare i pochi milligrammi
che i già defunti turni stagionali
non seppero sottrarti. Poi potrai
rimettere le ali non più nubecola
celeste ma terrestre e non è detto
che il cielo se ne accorga. Basta che uno
stupisca che il tuo fiore si rincarna
a meraviglia. Non è di tutti i giorni
in questi nivei défilés di morte.


GABRIELE D’ANNUNZIO 
da “Elegie romane”

Quando (al pensier, le vene mi tremano pur di dolcezza)

io mi partii, com’ebro, dalla sua casa amata,

su per le vie che ancóra fervean dell’estreme diurne

opere, de’ sonanti carri, de’ rauchi gridi,

tutta sentii dal cuore segreto l’anima alzarsi

cupidamente, e in alto, sopra le anguste mura,

fendere l’ignea zona che il vespro d’autunno per cieli

umidi, tra nuvole vaste, accendea su Roma.

Non era in me certezza dell’ora, dei luoghi. Un fallace

sogno teneami? O tutte della mia gioia consce

eran le cose e in torno rendevano insolito lume?

Io non sapea. Le cose tutte rendevan lume.

Tutte le nubi ardeano immote: qual sangue da occisi

mostri, rompea da’ loro fianchi un vermiglio rivo.

Lieta crescea la strage per l’erte de’ cieli, sì come

per infiammati boschi gesta d’immite arciero.

Agile dalle gote capaci il Tritone a que’ fochi

dava lo stel dell’acqua, che si spandea qual chioma.

Tremula di baleni, accesa di porpora al sommo,

libera in ciel, la grande casa dei Barberini

parvemi qual palagio ch’eletto avrei agli amori

nostri; e il desìo mi finse quivi superbi amori:

fulgidi amori e lussi mirabili ed ozii profondi;

una più larga forza, una più calda vita.

– Sonvi – dicea la folle Chimera il cuor mio torcendo –

sonvi più dolci frutti, altri ignorati beni! –

– Datemi – il cuor dicea – voi datemi, occhi soavi,

la mai goduta ebrezza, lo sconosciuto bene! –

Alta dal cuor balzavami l’anima. A sommo dell’erta,

in su ‘l quadrivio, argute risero le fontane.

Freschi dal Quirinale co ‘l vento mi giunsero effluvi:

rosea m’apparve, al fondo, Santa Maria Maggiore.


UMBERTO SABA
SONETTO DI PRIMAVERA

Città paesi e culmini lontani
sorridon lieti al sol di primavera.
Torna serena la natia riviera.
Sono pieni di canti il mare e i piani.

Io solo qui di desideri vani
t’esalto, mia inesperta anima altera;
poi stanco mi riduco in sulla sera
alla mia stanza, e incerto del domani.

Là seggo sovra il bianco letticciolo,
e ripenso a un’età già tramontata,
a un amor che mi strugge, all’avvenire.

E se nell’ombra odo la voce amata
di mia madre appressarsi e poi morire,
spesso col pianto vo addolcendo il duolo.


SYLVIA PLATH
LIMITE  

La donna ora è perfetta
Il suo corpo
morto ha il sorriso della compiutezza,
l’illusione di una necessità greca
fluisce nei volumi della sua toga,
i suoi piedi
nudi sembrano dire:
Siamo arrivati fin qui, è finita.
I bambini morti si sono acciambellati,
ciascuno, bianco serpente,
presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota.
Lei li ha raccolti
di nuovo nel suo corpo come i petali
di una rosa si chiudono quando il giardino
s’irrigidisce e sanguinano i profumi
dalle dolci gole profonde del fiore notturno.
La luna, spettatrice nel suo cappuccio d’osso,
non ha motivo di essere triste.
È abituata a queste cose.
I suoi neri crepitano e tirano.
_
Febbraio 1963, poesia scritta poco prima di morire

È stata una poetessa e scrittrice statunitense (1932-1963). Conosciuta per le sue poesie, scrisse il romanzo semi autobiografico “La campana di vetro” sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas


ATTILIO BERTOLUCCI  
Bernardo a cinque anni

Il dolore è nel tuo occhio timido
nella mano infantile che saluta senza grazia,
il dolore dei giorni che verranno
già pesa sulla tua ossatura fragile.

In un giorno d’autunno che dipana
quieto i suoi fili di nebbia nel sole
il gioco s’è fermato all’improvviso,
ti ha lasciato solo dove la strada finisce

splendida per tante foglie a terra
in una notte, sì che a tutti qui
è venuto un pensiero nella mente
della stagione che s’accosta rapida.

Tu hai salutato con un cenno debole
e un sorriso patito, sei rimasto
ombra nell’ombra un attimo, ora corri
a rifugiarti nella nostra ansia.
_
Al suo primogenito, il regista Bernardo Bertolucci (1941-2018) da IN UN TEMPO INCERTO, Garzanti 1955


NIZAR QABBANI
L’AMORE MIO MI CHIEDE

L’amore mio mi chiede:
“Qual è la differenza tra me e il cielo?”
la differenza è che
se tu ridi, amore mio,
io mi dimentico il cielo.

La cosa più bella del nostro amore…

La cosa più bella del nostro amore è che esso
non ha razionalità, né logica.
La cosa più bella del nostro amore è che esso
cammina sull’acqua e non affonda.

L’amore, amore mio

L’amore, amore mio,
è una graziosa poesia scritta sulla luna,
l’amore è disegnato
su tutte le foglie degli alberi,
l’amore è inciso
sulle piume dei passeri
e sulle gocce di pioggia.
_
Siriano (1923-1998) è il poeta arabo più popolare del Novecento, è stato definito “Il simbolo della Poesia”


LAWRENCE FERLINGHETTI
COS’È LA POESIA

Poesia è notizie dalla frontiera della coscienza,
Poesia è religione religione poesia,
Sia poesia emozione ritrovata in emozione,
Ogni poesia una temporanea follia
e l’irreale è il più realistico,
Dice l’indicibile
Pronuncia l’impronunciabile sospiro del cuore,
Una poesia… sta in una pagina sola
ma può riempire un mondo
e sta bene nella tasca di un cuore,
Poesia è lotta 
continua contro silenzio,
esilio inganno,
Lasciate che un nuovo lirismo salvi il mondo da sé
sia in sfide per giovani poeti
Siate poeti, non affaristi…,
Mettete in discussione tutto e tutti…,
Date alla vostra poesia ali per volare sulle cime degli alberi,
Evitate la provincia, mirate all’universo,
Cercate di raggiungere l’irraggiungibile,
Resistete molto, obbedite meno.
_
È stato un poeta, editore e libraio statunitense
(1919-2021)


OSIP MANDEL’STAM

Viviamo senza più avvertire sotto di noi il paese,
a dieci passi le nostre voci sono già bell’e sperse
e dovunque ci sia spazio per una conversazioncina
eccoli ad evocarti il montanaro del Cremlino.
Le sue tozze dita come vermi sono grasse 
e sono esatte le sue parole come i pesi di un ginnasta; 
se la ridono i suoi occhiacci di blatta
e i suoi gambali scoccano neri lampi.

Ha intorno una marmaglia di gerarchi dal collo sottile.
I servigi di mezzi uomini lo mandano in visibilio.
Chi zirla, chi miagola, chi fa il piagnucolone;
lui, lui solo mazzapicchia e rifila spintoni.
Come ferri di cavallo, decreti su decreti egli appioppa:
all’inguine, in fronte, a un sopracciglio, in un occhio.

Ogni messa a morte, con lui, è una lieta
cuccagna ed un largo torace di osseta.
_
Questa poesia è costata al poeta russo, prima il confino e poi il Gulag, ossia la condanna senza mezzi termini di Stalin nel 1938, morì di stenti nel dicembre del 1940


DINO CAMPANA
In un momento

Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose.
_
A Sibilla Aleramo, 1917


GIOCONDA BELLI
IL ROVESCIO DEI FIORI

La città che di giorno
ci avvizzisce
polvere rumore schiacciamento
di notte si apre
fiore sotto il cielo della luna piena.

Cantano le poetesse e gli uomini col cappello.

Le donne si scoprono le spalle.

Osservo gli altri osservarmi.

Estranea tra quelli
del bar frenetico
raccolgo immagini
come quella di lui, per esempio,
che appare e scompare
come brillante insegna al neon.


VICISSITUDINI DEL FEMMINISMO

Pericoloso
– con alcuni uomini –
essere orgogliosamente donna
proclamarsi persona
affermare la necessità di paritario
rispetto.

Se coraggiosamente scrivi
o dichiari queste verità
ti affibbiano come insulto
che sei «femminista»
o nazifemminista, grassa e brutta
o Barbie con molto trucco
forse di età avanzata, zitellona, avvizzita,
moglie annoiata o divorziata,
peggio se più volte sposata.

Così vogliono punirti
per aver osato insistere
quanto sia necessario che cessi il disprezzo
l’abuso di un sesso sull’altro
che è arrivato il momento 
che uomini e donne
abbandoniamo l’antico mestiere
di temerci.
_
Poesie tratte da IL PESCE ROSSO CHE CI NUOTA NEL PETTO
Molesini editore, traduzione di Emilio Coco

Nata a Managua, di origine italiana, combattente nel Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale