Riforme istituzionali e crescita
INTORNO A NOI

Riforme istituzionali e crescita

MARCO LEONARDI

Quale è la relazione tra le riforme istituzionali e la crescita economica? Nella letteratura, fatta di migliaia di analisi statistiche o indici come il Doing Business della Banca Mondiale, tutte quelle istituzioni che garantiscono la stabilità dei governi, come peraltro l’indipendenza e l’efficienza della giustizia, l’assenza di corruzione e tante altre misure, hanno un ruolo importante per la crescita e gli investimenti. Ma questi indici astratti vanno poi valutati nei casi concreti e inseriti in sistemi istituzionali complessi.

Una riforma non deve necessariamente blindare una maggioranza per durare più a lungo possibile. La stabilità dei governi non coincide necessariamente con la loro capacità ed efficacia decisionale. In passato è capitato che non mancasse una maggioranza parlamentare ma la volontà di prendere decisioni necessarie ma impopolari. Per altro il governo Meloni è assolutamente stabile nella sua maggioranza. Questo anche per colpa dell’opposizione che alle ultime elezioni politiche ha ignorato i meccanismi della legge elettorale. Non dovrebbe avere urgenza di cambiare le leggi che garantiscono la maggioranza, ce la ha già e solida. Nell’intento di garantire più stabilità rischiamo invece di ottenere l’esatto contrario. 

L’ingorgo dei quattro referendum

Una concreta possibilità è che nei prossimi due anni ci sia un ingorgo di quattro referendum: uno sul premierato, uno sulla separazione delle carriere dei magistrati, un altro per l’abolizione della legge sull’autonomia differenziata e forse addirittura un quarto sul Jobs Act. Davvero così si mette a repentaglio la capacità del paese di concentrarsi sulle condizioni della crescita e sull’esecuzione del PNRR. Questi quattro referendum spaccherebbero il paese tra maggioranza e opposizione ma anche tra nord e sud e addirittura dentro il campo del centro-sinistra. La separazione delle carriere e il Jobs Act sono infatti temi molto controversi dentro il campo progressista.

La cosa è tanto più grave perché il referendum del premierato, forse anche quello sulla separazione delle carriere dei magistrati, avverrebbero in un clima di scontro. Il governo non fa nessun mistero di ricercare un referendum popolare confermativo senza aver prima ottenuto i due terzi dei voti parlamentari. Dall’altro lato l’opposizione, diversamente dal solito, non ha nemmeno depositato un testo in Parlamento per la discussione. Si stanno già preparando i comitati referendari.

Una questione molto divisiva

Prendere il 50% dei voti popolari sul principio del “presidente del Consiglio eletto dal popolo” senza cercare un confronto in Parlamento sarebbe certamente una questione molto divisiva. Imporrebbe una nuova forma di governo anche alla metà che non è d’accordo. Soprattutto perché, pur di garantire la stabilità non si garantisce la rappresentanza del Parlamento. Allo stato delle cose si andrebbe al referendum senza aver discusso di doppio turno e di legge elettorale.

Il governo vorrebbe prima votare il referendum sul premierato e poi decidere in libertà la legge elettorale. Non è affatto facile decidere una legge elettorale che possa conciliare un premio di maggioranza con l’elezione contestuale del Presidente del Consiglio e del Parlamento. Non per niente, nei sistemi presidenziali o semi presidenziali le due elezioni sono rigorosamente divise. In Francia ora si vota per il Parlamento ma non per il Presidente.

Le prerogative del Presidente della Repubblica

D’altra parte l’opposizione che utilizza come argomento il fatto che non si debbano toccare le prerogative del Presidente della Repubblica, usa un argomento sbagliato. Le prerogative del Presidente della Repubblica si sono allargate di fatto dopo la crisi del partiti nel 1992. Comunque qualunque progetto di riforma finisce per toccare le prerogative del Presidente della Repubblica. La possibilità di nomina e revoca dei ministri in capo al Presidente del Consiglio o la sfiducia costruttiva costituiscono un cambiamento radicale delle competenze del Presidente della Repubblica.

Vietare per legge la possibilità di governi con sostegno più largo?

C’è molto da riflettere sul fatto che con il premierato si vorrebbe vietare per legge le possibilità dei governi tecnici. Intendiamoci subito. Solo un matto oggi vorrebbe un governo tecnico invece di un governo politico. Ma perché vietare per legge la possibilità che in futuro potremmo aver bisogno di governi con sostegno più largo? Negli ultimi anni abbiamo avuto governi tecnici, non perché li volevamo per forza, ma perché ne avevamo bisogno per risolvere problemi economici.

Il governo Monti fu chiamato perché c’era da risolvere il problema dello spread e mettere sotto controllo la spesa pensionistica. Nessun governo politico lo avrebbe fatto. Il governo Draghi fu chiamato quando c’era da affrontare il problema controverso delle vaccinazioni. Era anche necessario gestire con una larga maggioranza i 200 miliardi del PNRR. Non è facile dire quanto le riforme istituzionali influenzino l’economia e viceversa. Certamente è poco prudente vietare per legge quella flessibilità delle istituzioni che ci permette di affrontare problemi economici straordinari. 


Pubblicato sul Foglio il 19.06.2024