Tra guerra e rivoluzione
INTORNO A NOI

Tra guerra e rivoluzione

ADELCHI GALBIATI STUDENTE DI FILOSOFIA ALL’UNIVERSITÀ STATALE DI MILANO

Che cosa scatena una rivoluzione? Tanti sono i fattori, ma più di tutti conta il malessere sociale. Che cosa scatena una guerra? Di nuovo tanti sono i motivi, ma il più delle volte incidono i capricci della classe dirigente. Da un lato, la voglia di rinascita, di cambiamento, dall’altro quella di mantenere lo status quo, di conservare le tradizioni, il desiderio di avere più spazio, invadendo quello altrui.

Guerra e rivoluzione sono due fenomeni agli antipodi, profondamente diversi nella loro ideologia. Spesso però sfociano l’uno nell’altro, quasi a voler dimostrare che gli opposti si attraggono. Alle volte, come in Francia, da una rivoluzione è scaturita una guerra. Altre, come in Russia, a una guerra è susseguita una rivoluzione che ha profondamente cambiato la struttura e l’identità di un Paese. Seppur indirettamente, infatti, dalla Rivoluzione Francese sono nate le guerre napoleoniche. Passando per i nazionalismi di destra dell’Europa conservatrice post-rivoluzionaria, caratterizzati da una sfrenata competizione tra gli Stati pian piano è sorto l’ordine che ha portato alla Grande Guerra. Da qui a sua volta è iniziata la rivoluzione che ha portato alla nascita della Russia bolscevica.

Si vede bene quindi come questi due fenomeni, ideologicamente tanto diversi, siano spesso uniti nella prassi, intrecciandosi e alternandosi. E non si pensi che possa esistere al mondo una guerra liberatrice, giusta e democratica, come spesso qualcuno tenta di farci credere. 

Dalla scintilla rivoluzionaria alla restaurazione

La rivoluzione altro non è che la scintilla che travolge e abbatte un regime che da anni governa in modo autoritario e inadeguato. Dalla Francia alla rivoluzione islamica iraniana, dalle rivoluzioni comuniste alle Primavere arabe, tutti questi movimenti nascono col desiderio di rinascita e profonda innovazione. Ingiustizia e cattiva amministrazione si accumulano per anni. Gran parte della popolazione si agita e finalmente si ribella. Con un repentino moto di protesta, spesso accompagnato da violenze, si instaura poi un ordine nuovo, o perlomeno tenta di farlo. Ma perché da tale desiderio liberatore e talvolta democratico finiscono spesso per sorgere regimi ancora più reazionari? Perché la vecchia classe dirigente riesce a tornare alla ribalta? Come sorgono nuovi dittatori, ancora più autoritari e oppressivi dei precedenti? Perché dalla rivoluzione scaturisce poi la guerra? E perché proprio la più cruenta e infame tra le guerre: la guerra civile?

La natura acefala dei movimenti rivoluzionari

Una risposta a tali quesiti può certamente essere trovata nella natura acefala dei movimenti rivoluzionari, che, appunto, il più delle volte non hanno una testa. La popolazione si ribella, ma una volta abbattuto il vecchio ordine, ha idee differenti sul nuovo ordine da instaurare. A volte peggio ancora non ha affatto idee. Questo è quanto è successo, per esempio, nei violenti moti di protesta che dal 2011 hanno scosso il Medio Oriente. A una rivolta generalizzata, che sembrava voler radicalmente cambiare le cose, è seguito un nulla di fatto. Anzi spesso è scoppiata una guerra civile.

Penso a casi della Libia, dello Yemen e della Siria. Perchè allora in molti casi la rivoluzione, che ideologicamente tende a portare una ventata d’aria fresca e instaurare un ordine più giusto, finisce poi per non cambiare affatto le cose? Addirittura a volte peggiora le condizioni di vita della comunità. L’acefalia non basta. Si tratta forse allora dell’eccessiva irruenza dei moti? La popolazione, che per anni ha ingerito ingiustizie e accumulato malessere, riversa tutto ciò nelle piazze in una volta sola. Questo provoca una forte indignazione tra i reazionari, che hanno così buon gioco ad attirare a sé gli indecisi e gli indifferenti. La risposta è così unita da riaffermare spesso la restaurazione. Si potrebbe argomentare d’altro canto che la forte scossa della potresta è necessaria. Diversamente non si potrebbe in alcun modo tentare di indurre un cambiamento radicale nella società.

La spinta riformatrice delle rivoluzioni

Ma allora come rendere le rivoluzioni più efficaci? Come allontanarle dalla dinamica di guerra? Dare una risposta a tale quesito appare impossibile. L’unica soluzione reale va cercata nella direzione di una traslazione di paradigma. La rivoluzione irruenta e repentina lasci spazio alla rivoluzione culturale. Serve preparare tutta la popolazione al cambiamento e provocarlo in modo progressivo e non-violento. Non bisogna decapitare il vecchio regime bensì cambiarlo, rifondarlo, convertirlo, per così dire, dal suo interno. La storia ci ha già donato, del resto, grandi esempi di rivoluzioni e proteste non-violente (non solo culturali). Alcuni movimenti hanno cambiato il mondo. Forse questa è la strada da seguire per far sì che l’ideale riformatore e innovativo della rivoluzione prevalga su quello autoritario e repressivo della guerra.