Una alternativa al superbonus
AMBIENTE NORMATIVE

Una alternativa al superbonus

MARCO LEONARDI – LEONZIO RIZZO

Con l’aggiornamento Istat del deficit pubblico e la “scoperta” di altri 40 miliardi di debito imprevisti, la pars destruens del superbonus ha fatto il suo corso completo. Almeno si spera. Ora bisognerà pensare a un’alternativa. Tra tutti i grossi difetti, il superbonus ha comunque avuto un effetto importante sul PIL. Rimangono inoltre milioni di edifici da efficientare e tanto vale farlo imparando dagli errori commessi.  

È chiaro che quasi 150 miliardi di spesa hanno avuto un effetto sulla crescita. La valutazione, alcuni sostengono, va fatta però in confronto a cosa si sarebbe potuto finanziare in alternativa. Altri dicono che l’effetto aggiuntivo del superbonus sarebbe solo del 50% perché l’altra metà si sarebbe fatto lo stesso.

Un dato certo, dalle tabelle dell’ISTAT, è che le costruzioni, tra tutti i settori dell’economia, è quello con il maggior impulso alla produzione (insieme all’energia). E poi, visto che l’edilizia utilizza input del territorio, lo stimolo funziona bene anche al sud Italia. Ma l’effetto sulla crescita ha molti risvolti, e le costruzioni non sono un’attività ad alto valore aggiunto. L’istruzione lo è molto di più. Per la maggior parte va a remunerare stipendi. Nelle costruzioni ci sono molti costi di input intermedi che non contribuiscono al valore aggiunto. 

I limiti del superbonus

Il primo e più ovvio errore del superbonus è la percentuale di detrazione pari al 110% della spesa effettuata. Questa dal 2024 è già diminuita al 70%, ma sarebbe necessario differenziarla in base sia a parametri tecnici che in base al reddito di chi fruisce dell’agevolazione. Il secondo errore, almeno per molti, è la cessione del credito che si è rivelata un meccanismo con esiti impossibili da prevedere per i conti pubblici (quanti crediti e di chi?). Ciò, combinato con il fatto che non si è messo un “rubinetto” alla misura (finché ci sono i soldi ok, poi basta), ha fatto saltare tutte le proiezioni di spesa fino a questi ultimi 40 miliardi imprevisti.

Senza la cessione del credito, tuttavia, il superbonus sarebbe stato utilizzato solo da pochi ricchi. Per gran parte dei contribuenti, c’è il problema legato alla liquidità iniziale necessaria a pagare i lavori e alla capienza per fruire delle detrazioni. Per i condomini, soprattutto quelli abitati da contribuenti con reddito medio-basso, senza la cessione del credito è di fatto impossibile procedere. Il superbonus serve soprattutto ai condomini. 

Il possibile intervento dello Stato

Fortunatamente c’è una alternativa. Si potrebbe pensare a dei veri e propri trasferimenti da parte dello Stato a coloro che effettuano l’intervento agevolato. Ciò permetterebbe di risparmiare il costo dell’intermediazione necessaria per realizzare la cessione. Le banche all’inizio chiedevano circa l’8% del credito di imposta acquistato. Sono arrivate, attualmente a chiedere anche più del 20% (per buone ragioni, per carità). La maggioranza dei lavori ha fruito della cessione del credito con l’intermediazione bancaria (e degli operatori privati che facevano l’istruttoria). Non è difficile stimare l’enorme margine di cui ha beneficiato il sistema bancario. 

L’agenzia delle entrate può raccogliere tutte le informazioni che servono e poi erogare direttamente il beneficio all’operatore privato che fa l’intervento, come fece ai tempi del Covid con le compensazioni alle imprese in base all’utile perduto. È stato un esperimento di successo che bisognerebbe imitare. Del resto già funziona così il Conto Termico ovvero l’ecobonus per gli edifici pubblici. Il GSE fa trasferimenti diretti agli enti pubblici beneficiari.

Tale passaggio da meccanismo di detrazione a trasferimento diretto sarebbe molto simile a quanto avvenuto con l’assegno unico che è un vero e proprio trasferimento. Ha sostituito il meccanismo delle detrazioni per figli a carico (permettendo così di risolvere il problema degli incapienti). 

I vantaggi del trasferimento diretto

Con il meccanismo del trasferimento diretto, l’agenzia delle entrate avrebbe anche il pieno controllo del flusso di spesa. Questa cosa invece è mancata finora. Finora solo le asseverazioni di fine lavori da mandare all’ENEA entro 90 giorni davano un’idea (imprecisa) della spesa futura in termini di detrazioni fiscali, con in più l’alea se davvero tali detrazioni fossero certamente “pagabili” oppure no (e quindi dovessero essere tutte caricate nel deficit di quel solo anno). Un vero disastro anche di incertezza e imprevedibilità per i conti pubblici. 

L’entità del trasferimento poi potrebbe essere differenziata in base alle scelte della politica: per esempio in base alla “profondità” dell’intervento (solo serramenti, solo cappotto, solo cambio caldaia, oppure tutto insieme) oppure rispetto all’ISEE (il massimo tra quello del proprietario e del beneficiario per vitare furbizie). Bisognerebbe poi tenere sotto controllo i costi dei singoli materiali e dei singoli interventi tramite degli indicatori parametrici (come nel Conto Termico) e non con dei listini prezzi come finora fatto. Inoltre, la certificazione energetica dovrebbe essere fatta solo alla fine. Dovrebbe prevedere l’indicazione dei consumi reali, relazionati al tempo di occupazione della casa. Se il tempo di occupazione della casa è inferiore al 90%, l’intervento non va finanziato con soldi pubblici. 


Pubblicato su Il Foglio il 06.03.2024